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Francesco Tanzilli – La via americana al welfare. Da Kennedy a Bush – 2009

Francesco Tanzilli
Milano, Guerini e Associati, 297 pp., euro 28,00

Anno di pubblicazione: 2009

Il lavoro di Tanzilli ha molti meriti, primo tra tutti quello di aver tracciato una utilissima sintesi delle politiche di welfare negli Stati Uniti su un periodo di tempo assai ampio. Il volume ripercorre infatti le discusse origini dello stato sociale americano a partire dal tardo ’800 (anche se la ricerca originale prende l’avvio dagli anni ’60) in un intreccio ben costruito tra storia dell’ideologia politica, esame dei processi legislativi, azione della società civile e analisi delle mentalità.Dalle Poor Laws al Social Security Act, dalla War on poverty johnsoniana al Family Assistance Plan proposto da Nixon, dalla riforma clintoniana del 1996 (Prwora) al conservatorismo compassionevole di George W. Bush, l’a. delinea il difficile superamento della divisione tra deserving e undeserving poor, le sembianze dei protagonisti della lunghissima opposizione alla riforma sanitaria, l’assenza di politiche di stampo universalistico, la rivendicazione delle politiche sociali come diritto condotta da associazioni come la National welfare rights organization. Il volume cerca con successo di spiegare come le politiche di welfare «something for nothing», accusate di deresponsabilizzare i destinatari allontanandoli dal mercato del lavoro, sia stata condivisa non solo dai conservatori ma anche da una parte rilevante del mondo moderato e progressista nel sostegno all’etica del lavoro, al principio «no rights without responsibilities», all’importanza dell’autonomia degli Stati nel campo della legislazione sociale.La parte più innovativa del volume è tuttavia quella che analizza il ruolo della società civile e di quelle che vengono definite «strutture intermedie della società» con particolare riferimento al movimento communitarian. È stato infatti in gran parte quest’ultimo, con la sua enfasi sulla necessità di individuare un punto di equilibrio tra diritti individuali e valori collettivi (di comunità), a condizionare in diverso modo le politiche di Bill Clinton e di George W. Bush in relazione al forte ruolo della società civile come il miglior rimedio potenziale alla povertà e contro la welfare dependency.Se alcune delle critiche allo stato sociale «as we know it» hanno avuto carattere bipartisan, non bisogna dimenticare tuttavia che per oltre vent’anni il dibattito pubblico sul tema è stato egemonizzato dai repubblicani più radicali, e che senza il fondamentale contributo dei think-tanks il pensiero neoconservatore in tema di politiche sociali non avrebbe potuto diffondersi così ampiamente e conquistare tanti consensi.Cosa avremmo voluto trovare nel volume di Tanzilli? Un atteggiamento critico più accentuato; una minore schematicità su alcune affermazioni – «Le indagini storiografiche relative allo Stato Sociale americano sono generalmente concordi nel collocare l’esperienza statunitense a un “livello di sottosviluppo”» (p. 7) – non corrispondenti a molte posizioni storiografiche recenti; una maggiore attenzione alle categorie di genere, razza ed etnia. Un trinomio spesso abusato ma imprescindibile se si affrontano i temi del welfare e le discriminazioni che lo stato sociale statunitense (ma non solo) ha messo in atto.

Elisabetta Vezzosi