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Franco Sbarberi – L’utopia della libertà eguale. Il liberalismo sociale da Rosselli a Bobbio – 1999

Franco Sbarberi
Bollati Boringhieri, Torino

Anno di pubblicazione: 1999

Raccolta di saggi (di cui due soli inediti) più che narrazione organica, il libro prende in esame in ogni capitolo l’opera di un autore eminente della costellazione liberal-socialista: dalla coppia Gramsci-Gobetti a Norberto Bobbio, passando per Rosselli, Calogero e Piero Calamandrei.
La presenza iniziale in tale costellazione, quasi a mo’ di spirito ispiratore, del fondatore del Partito Comunista d’Italia fa subito intendere la accezione assai ampia e indeterminata con cui l’a. – secondo un approccio storiografico ormai consolidato, ma non per ciò a parere di chi scrive meno discutibile – intende la linea di pensiero di cui si occupa. È l’indeterminatezza propria di concezioni della libertà sempre ispirate ad alto eticismo ma perlopiù indifferenti alle specificazioni istituzionali: si veda ad esempio l’idea rosselliana della libertà come “autonomia”, tradotta nella vaghissima indicazione di “libero dispiegarsi dei soggetti all’interno della comunità” (p. 65). D’altro canto il termine “utopia”, posto volutamente in evidenza nel titolo, vale ad ammettere e a giustificare a priori ogni più ardita immaginazione teorica, ogni contaminazione (è praticamente infinito il numero delle parole con cui, se uno vuole, può sposarsi l’aggettivo liberale), ogni espansione interpretativa dei concetti, svincolando dall’obbligo di qualunque confronto con la realtà.
Il quadro del cosiddetto liberalismo sociale italiano che esce da queste pagine sembra fatto apposta per convalidare l’esclamazione sconsolata che in uno sfogo autocritico venne sulle labbra a Bobbio nell’immediato dopoguerra durante una discussione con i suoi amici: “Siamo malati di ideologismo!” (p. 206). Proprio così, e il libro di Sbarberi si presenta come una disamina non solo pressoché esclusivamente di essi, ma anche tutta chiusa entro il loro orizzonte nonché marcata da una fin troppo evidente adesione ideologica all’insieme degli autori studiati e in specie a quelli più strettamente coinvolti nell’esperienza azionista.
Poco male, se non fosse che, convinto della forte, sostanziale positività delle cose pensate e scritte dai suoi autori, Sbarberi non si cura di porle in rapporto con le cose da loro fatte o con la situazione storica reale. Avviene così che l’antipartitismo programmatico del Partito d’Azione, per esempio, o la da lui auspicata “rivoluzione democratica”, o gli “istituti di autogoverno popolare” a lui cari, o la sua proclamata distinzione rispetto al Pci, vengono costantemente accreditati, per il solo fatto di essere enunciati, come cose dotate di una loro certa effettualità, laddove si trattava quasi sempre, invece, di formule vaghe e prive di ogni applicabilità: proprio perciò destinate a restare inapplicate ma anche, proprio perciò, destinate alla fortuna storico-politica che oggi arride loro.

Ernesto Galli della Loggia