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Frank Vollmer – Die politische Kultur des Faschismus. Stätten totalitärer Diktatur in Italien – 2007

Frank Vollmer
Köln-Weimar-Wien, Böhlau Verlag, 816 pp., Euro 79,90

Anno di pubblicazione: 2007

Il ponderoso volume, di difficile lettura per i non-specialisti e non traducibile in italiano (date le dimensioni ed i costi prevedibili), è frutto della rielaborazione di una tesi di dottorato discussa a Münster sotto la supervisione di Hans-Ulrich Thamer, uno storico tedesco attento ai temi della storia contemporanea italiana. L’a. ha preso in esame due casi regionali, distinti per caratteristiche sociali e politiche: da un lato Arezzo, una delle città culla del primissimo fascismo squadrista, dall’altro il centro industriale di Terni, sede di una delle maggiori industrie siderurgiche italiane, dove il fascismo ebbe maggiori difficoltà ad attecchire in una popolazione operaia.Il taglio dell’opera risente dei metodi dei cultural studies, anche se l’a. è attento agli elementi politici e «materiali». Tuttavia, come avviene spesso per questo ricco filone di studi (poco frequentato in Italia), vi è nell’opera una ridondanza di elementi metodologici, di riflessioni teoriche, di generalizzazioni, che rendono la lettura in molti tratti impervia. Il secondo capitolo, di cinquanta pagine, è tutto imperniato su riflessioni metodologiche perlopiù astratte. In ogni caso, fulcro del lavoro è la ricostruzione dell’intreccio fra cultura locale e tentativi del regime di imporre nuovi valori, nuovi punti di riferimento della cultura politica locale, o di impadronirsi di quelli tradizionali esistenti, deformandoli e strumentalizzandoli ai suoi obiettivi.Al centro dell’analisi stanno quattro grandi temi: le tradizioni locali, la questione della «rivoluzione», l’intreccio fra politica e religione nelle cerimonie per i caduti, e infine il culto della romanità. Vollmer mostra un’ottima conoscenza delle fonti locali e centrali, che utilizza con dovizia, e conosce molti bene i contesti storiografici ai quali si accosta. I capitoli sono ricchi di annotazioni, che mettono in luce da un lato il forte impegno del regime, a livello centrale ed a livello locale, a costruire un progetto di cultura politica in grado di incontrare il consenso della popolazione, e dall’altro le articolate reazioni della società locale. Le molte riflessioni interessanti che emergono da questa messe di materiale finiscono però per essere travolte dalla marea di documenti e dalla complessa articolazione del discorso metodologico, che qui pare rivelarsi più un inciampo, che un sussidio positivo.Lo dimostra assai bene il capitolo finale, nel quale l’a. trae conclusioni spesso acute, ma allo stesso fortemente oscillanti l’una rispetto all’altra sulle grandi questioni che ha messo in campo: il fascismo era moderno, o no? Riuscì a costruire consenso vero e profondo, o solo un’adesione conformistica? Possiamo parlare davvero di una dittatura totalitaria, o tendenzialmente totalitaria? Le righe conclusive, che mettono l’accento sulla «zona grigia», esprimono – a mio avviso – il succo dell’opera: un gigantesco deposito di materiali, solo parzialmente rielaborati, dai quali l’a. trae una assai sintetica conclusione, che non conclude. Si potrebbe parafrasare: «tanta metodologia per nulla».

Gustavo Corni