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Gabriele D’Autilia – L’indizio e la prova. La storia nella fotografia – 2001

Gabriele D’Autilia
Milano, La Nuova Italia, pp. 252, euro 22,21

Anno di pubblicazione: 2001

Già dal titolo, D’Autilia indica chiaramente la tesi di fondo del volume: la fotografia è insieme una impronta del reale, che consente allo storico di seguire le tracce dell’oggetto della sua ricerca, secondo il paradigma indiziario così acutamente prospettato da Ginzburg; ma anche una prova, una testimonianza considerata oggettiva e inoppugnabile della realtà. Il volume però non è un saggio sul linguaggio della fotografia, né una riflessione teorica sui rapporti fra storia e fotografia; non è neppure uno studio monografico né il frutto di un lavoro di ricerca sulle fonti fotografiche. È un volume di sintesi che, pur rivolgendosi agli storici, presenta in maniera chiara ed essenziale anche altri possibili punti di vista: in quanto tale, riempie un vuoto e colma una esigenza. La fotografia storica è oggetto di molti e diversi approcci disciplinari: dalla storia delle tecniche a quella dei linguaggi e dei segni, dalla storia dell’arte alla storia sociale e politica, alla storia dei media e dei modi di comunicazione. Di solito questi settori non colloquiano se non minimamente. Qui questo limite viene superato: perciò a mio parere il volume, per quanto abbia diversi altri pregi, fra cui la grande chiarezza e finezza della scrittura, va valutato soprattutto per la sua organizzazione interna, nuova ed originale.
La prima parte, dedicata alla Fotografia nella storia, traccia in realtà una storia delle tecniche e dei linguaggi della fotografia, fino al suo impatto nel mondo dei media e delle immagini in movimento, e con una adeguata attenzione al tema centrale dei rapporti fra arte e fotografia; la seconda parte Testimone e complice: brevissima storia della fotografia affronta alcuni aspetti essenziali della storia sociale della fotografia, ma dedica anche una notevole attenzione ai maggiori teorici del linguaggio fotografico, a classici come Benjamin, Barthes, Sontag. Infine, l’ultima parte (La storia nella fotografia) è quella che più propriamente riguarda il lavoro dello storico; qui si affronta il tema della fotografia come fonte per la storia, come agente, essa stessa, di storia (si pensi alla fotografia nella propaganda, ma anche al modo in cui il vedere fotografico influenza la nostra percezione della realtà, o al modo in cui influenza il rapporto fra sguardo pubblico e sguardo privato); e infine, ma da non trascurare, come mezzo per raccontare la storia.
Si tratta quindi di uno strumento utilissimo per dotare lo storico-investigarore (assimilato all’orco della fiaba nel titolo della bella collana diretta da De Luna, in cui appare il volume) di conoscenze che non sono comprese di solito nel suo bagaglio di competenze di base, ma che costituiscono la premessa essenziale per superare quella situazione paradossale per cui, in una società come quella di oggi, in cui la cultura della visione ha un ruolo così importante, risultano così rari, se non del tutto assenti, gli studi e le ricerche sul modo in cui si è storicamente affermato questo ruolo dell’immagine fotografica (e dei suoi derivati, come il cinema e la televisione) nel mondo contemporaneo.

Luigi Tomassini