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Gabriele Patrizio – Tempo di guerra, tempo di pace. Stabilità e durata nel mondo globale – 2009

Gabriele Patrizio
Torino, Giappichelli, 184 pp., Euro 16,50

Anno di pubblicazione: 2009

Questo è un libro di teoria delle relazioni internazionali che si propone un obbiettivo ambizioso: rileggere l’evoluzione storica delle guerre in età moderna e contemporanea alla luce della centralità del fattore tempo. A spingere l’a. in tale direzione è l’assunzione dei fenomeni odierni di globalizzazione sotto la categoria della compressione e dell’accelerazione dei processi. Diversi studiosi – a partire dal Kern di Il tempo e lo spazio (1983) – hanno posto la contrazione dello spazio e del tempo alla base della modernizzazione delle società e delle culture tra ‘800 e ‘900: l’a. dilata questo punto di vista a chiave interpretativa di lungo periodo fino ai giorni nostri. Non gli mancano le pezze d’appoggio: l’Impero cinese dura 2133 anni, quello romano 985, l’ottomano 568, il britannico in India 190 (p.128). La prima ondata della democrazia (secondo la classica tripartizione di Huntington) copre il periodo 1828-1926, la seconda con la decolonizzazione va dal 1943 al 1962, la terza si concentra negli anni immediatamente successivi al 1989 (p. 132). L’equilibrio multipolare scaturito dalla pace di Westfalia resiste per 250 anni, quello bipolare della guerra fredda 50 anni, quello unipolare post-1989 solo 20 (p. 90). I tempi lenti di reazione dell’apparato difensivo degli Stati Uniti di fronte agli attentati dell’11 settembre mostrano l’impreparazione dei sistemi complessi ai tempi sempre più veloci della modernità (p. 45). Anzi della post-modernità, che l’a. condensa in un senso della percezione sempre più appiattito sul presente e compresso da questa legge di accelerazione della storia (p. 54). Anche i processi lenti della lunga durata braudeliana (finanziari, sociali, culturali) ne risentono (p. 157). La conclusione è consolante (e forse consolatoria): le procedure decisionali della guerra nucleare sono sempre più veloci, al punto da spingere alla cautela e all’inerzia piuttosto che alla replica immediata, fino a rendere praticamente impossibile la sua materiale realizzazione (pp. 111 e 164). Tra il 1977 e il 1984 gli Usa registrano più di 20 mila segnali di attacchi missilistici, ma solo in 6 casi ritenuti degni di dar luogo a rapide consultazioni (p. 104). Peccato che le pagine finali del libro, dedicate alle nuove guerre asimmetriche (manca però il riferimento al testo-base cinese, tradotto in italiano nel 2001 con il titolo Guerre senza limiti) contraddicano questo giudizio troppo limitato al mondo sviluppato. I conflitti in Iraq e Afghanistan (ma anche quello in Libano) producono lentezza e impaludamento: non-strategie che alla lunga possono dimostrarsi vittoriose anche nei confronti di nemici molto superiori. Oppure possono indurre questi ultimi a combinare la guerra con la politica, attraverso una presenza occupante non solo militare ma anche di sviluppo economico e sociale. I dati statistici raccolti dallo Stockolm Institute for Peace Research (Sipri) stranamente ignorati dal testo, documentano come le guerre contemporanee siano sempre più guerre civili endemiche, molto difficili da risolvere esclusivamente attraverso le armi.

Giovanni Gozzini