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Gabriele Suma – Flotta senza ali. Perché la Germania e l’Italia non ebbero portaerei – 2008

Gabriele Suma
Civitavecchia, Prospettivaeditrice, 112 pp., euro 12,00

Anno di pubblicazione: 2008

Il tema della nave portaerei si inscrive nei processi di adeguamento delle maggiori potenze all’evoluzione tecnologica che segnava gli esiti della prima guerra mondiale, proiettando le sue suggestioni sul pensiero politico-militare e su quadri dottrinali che dovevano elaborare l’emergere della componente aeronavale del potere marittimo. Il volumetto di Gabriele Suma affronta la questione nella prospettiva delle potenze dell’Asse, entrambe vincolate in mari chiusi, che rivelarono una specifica deficienza in questa direzione.Il lavoro riproduce una tesi di laurea di cui mantiene elementi di approssimazione e incoerenza. Il quadro interpretativo di partenza smarrisce le vistose differenze tra le posizioni italiana e tedesca in termini di tradizioni e capacità tecnico industriali sin dagli esordi del secolo, ciclo a cui si fa ascendere una competizione aperta con il potere navale britannico che, se è elemento caratterizzante la politica guglielmina, non appartiene certo all’Italia di Giolitti. Sorprende poi l’idea di una «obsolescente marina britannica» di fronte alla quale Germania e Italia vantassero una evidente «superiorità tecnica» (p. 8). Elementi di indistinzione permangono nella trattazione, che segue il dipanarsi della prospettiva italiana fra le due guerre con scarsa attenzione e sensibilità per le scansioni cronologiche degli indirizzi. Fortissima è la semplificazione relativa alla presa della prospettiva douhettiana, né è percepito pienamente il carattere transitorio che gli studi assumevano negli anni ’20 in tutti i paesi. L?impostazione leggera e velocistica che scaturisce dal Trattato di Washington non è colta nelle sue potenzialità, né viene chiarito a fondo il prevalere, con gli anni ’30, di una linea tradizionale affidata al ruolo delle corazzate. La sottovalutazione della dimensione aerea della guerra sul mare connota la svolta strategica del 1935 che proprio la Marina «subisce» con scelte tecniche tradizionali, evitando di sollecitare l’indirizzo «assolutistico» dell’Aeronautica. Sette brevi capitoli ricostruiscono il dibattito italiano in maniera sommaria e talvolta imprecisa nei riferimenti fattuali e bibliografici. La trattazione utilizza solo in maniera limitata la migliore letteratura esistente (Giorgerini per il quadro generale; Bagnasco, Ceva e Curami per aspetti industriali, del tutto ignorati) senza aggiungere elementi nuovi e mantenendo alla «questione portaerei» una centralità sovradimensionata rispetto al nodo irrisolto della costruzione di un strumento aeronavale: dalla inadeguatezza dei mezzi aerei all’assenza di un addestramento congiunto che peserà gravemente nella concreta esperienza operativa. Due rapidi capitoli costruiti su poche relazioni italiane del periodo presentano la vicenda della mancata portaerei tedesca, tramontata pur a fronte delle esigenze emerse dalla guerra nel Baltico. Un esito di cui non emerge il legame essenziale con una impostazione che aveva privilegiato l’interdizione subacquea del traffico avversario, ancorandosi ad una prospettiva strategica continentale.

Marco Di Giovanni