Cerca

Gabriella Botti – Sulle vie della salute – 2008

Gabriella Botti
Bologna, il Mulino, 288 pp., euro 22,00

Anno di pubblicazione: 2008

Sulla base di una vasta documentazione l’a. ricostruisce nell’arco di un bicentenario – dal 1761 al primo dopoguerra – il microcosmo della comunità dei farmacisti napoletani, impegnata nella ricerca di una nuova identità e di un diverso status e nella conquista, con i medici, del mercato della salute. La scelta di fuoco e di scala, che si snoda attraverso agili capitoli, non deve far ritenere che il volume interessi solo la storia napoletana perché le vicende sono inserite nella cornice nazionale e sovranazionale della rivoluzione della scienza medica e della trasformazione del mestiere dello speziale nella professione del farmacista, in possesso di un saper fare non più affidato alla sola pratica ma fondato sulla conoscenza teorica (l’istituzione della prima Scuola di farmacia è del 1865) che lo Stato riconosce e certifica (la legge sulle professioni sanitarie è del 1910). Al contempo, lo spazio fisico della farmacia si modifica: il retrobottega lascia il posto al laboratorio dove si preparano specialità che vengono commercializzate su scala sovralocale, segnando il passaggio al «farmacista imprenditore» (p. 33) anche se, a Napoli, una vera e propria industria farmaceutica si svilupperà nel ’900 con i Cutolo.Nell’analisi del gruppo dei farmacisti napoletani l’a. non si limita a indagarne la struttura quantitativa né a definire il grado di apertura o di chiusura, ma identifica i percorsi di carriera, i successi commerciali e i canali di ascesa – individuali e collettivi -, valuta il livello di partecipazione sociale e politica – i farmacisti diventano «visibili» (p. 27) nel 1848 durante le lotte risorgimentali -, riportando alla luce personaggi come Domenico Mamone Capria, chimico e fondatore della Scuola di chimica farmaceutica. In quest’ottica anche la ricostruzione della collocazione delle residenze private e delle farmacie nella città, così come delle reti di relazioni e delle strategie matrimoniali, è essenziale. Emerge il ritratto di un gruppo a lungo bloccato nelle aspirazioni di mobilità sociale a causa di un mercato ristretto e poco dinamico – eppure non sono mancati gli innovatori, come dimostrano l’uso dell’acetilsalicilico nel 1838 e la precoce pratica dell’omeopatia -, composito e gerarchizzato, dove l’abbandono dei quartieri del centro e il trasferimento in quelli residenziali segnano il successo commerciale e, per alcuni, l’accesso ai luoghi del potere politico ed economico. Spiccano poi tratti peculiari: dapprima la forte presenza di professionisti stranieri (soprattutto inglesi e tedeschi) che si presentano nel mercato napoletano con un surplus di risorse sia materiali, sia finanziarie, sia di capitale umano sia di saperi specializzati, ma che, a differenza di altre minoranze «avvantaggiate», appaiono non arroccati alla propria identità culturale bensì impegnati in uno sforzo di integrazione sociale; e poi, dai primi del ’900, l’ascesa delle prime contestate figure di donne chimiche e farmaciste.Un itinerario, quindi, quello dei farmacisti napoletani, che ha conosciuto discontinuità, progressi e arretramenti: un caso di rilievo che andrebbe corroborato da altri studi locali in modo da avere una panoramica su un gruppo di professionisti ingiustamente trascurato.

Alessandra Cantagalli