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Gabriella Chiaramonti – Suffragio e rappresentanza nel Perù dell’800. Parte prima: gli itinerari della Sovranità (1808-1860) – 2002

Gabriella Chiaramonti
Torino, Otto editore, pp. 421, euro 20,65

Anno di pubblicazione: 2002

Per molto tempo si è data per scontata l’inadeguatezza dell’America Latina a vivere positivamente le esperienze chiave dell’Occidente, prima fra tutte quella liberale. E’ una leggenda che la stessa storiografia latinoamericana ha condiviso, e ancora condivide, ma che non è mai stata sostenuta da ricerche empiriche. Si è trattato piuttosto di un rigetto da parte delle élites del sec. XX che ha contaminato stabilmente la cultura accademica, e che meriterebbe uno studio a parte per le analogie con sindromi simili che hanno attanagliato le culture dei paesi latini.
E’ dunque di grande interesse che una ricercatrice dell’Università di Padova abbia pubblicato in Italia una corposissima ricerca d’archivio su un tema così controverso. Tra l’altro questo è il primo di due volumi, ed è auspicabile che si veda presto il secondo. L’opera è divisa in tre grandi e densi capitoli: il primo analizza le crisi dell’impero spagnolo in Perù a seguito dell’abdicazione della corona a favore di Napoleone nel 1808, il secondo la diffusione della costituzione di Cadice, e il terzo l’eredità di Cadice. Protagonista è dunque il costituzionalismo gaditano, che è stato applicato oltreoceano molto più seriamente di quanto la storiografia abbia pensato, e che ha condizionato quasi tutto il secolo.
Ma in che cosa consiste l’eredità gaditana? A parte quella scritta in moltissime carte lungo tutto il secolo, l’eredità più importante, fino ad oggi praticamente sconosciuta, è nella sociabilità politica generata a livello locale. La rappresentanza di tipo gaditano si è costruita su un’idea di cittadinanza molto ampia, notoria, lasciata nelle mani delle comunità locali, che non prevedeva requisiti rigidi, né censitari e nemmeno di alfabetizzazione, e che fu fin dal primo momento aperta agli indios. Come sostiene giustamente l’autrice, il fattore più dinamico non va ricercato al centro del sistema politico, nel farsi delle assemblee elettive, ma in periferia, nei municipi elettivi, capaci di fare della cittadinanza liberale uno strumento inedito per difendere l’autonomia delle società locali dall’invadenza delle capitali e dello Stato. Insomma, il protagonista dell’eredità gaditana è il villaggio municipalizzato, un attore dell’antico regime che continua a essere tale ma che è stato costituzionalizzato, e quindi può agire legittimamente per difendere i suoi interessi collettivi.
Poche righe non possono rendere giustizia ad una ricerca ricca e complessa, della quale si possono qui segnalare due punti cruciali: l’adozione del modello gaditano legittima l’esperienza liberale ma la colloca in un territorio ambivalente a cavallo tra antico regime e modernità, e rilancia agli storici questa classica questione, di cui l’America Latina fu un caso esemplare; in secondo luogo questa collocazione rafforza la legittimità politica delle società locali di fronte a quelle centrali. La sfida non è dunque diffondere il liberalismo ma modificarne le logiche territoriali e di socializzazione. Il sospetto è che il liberalismo ispanico e ispanoamericano costituisca storicamente un terzo modello, dopo il francese e l’anglosassone, molto più problematico e, per l’appunto, ambiguo, ma non per questo meno reale degli altri.

Antonio Annino