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Gerarchi e fascismo a Napoli (1921-1943)

Pasquale Villani
Bologna, il Mulino, 163 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2013

Pasquale Villani, ormai quasi novantenne, ci offre un nuovo libro sul fascismo a Napoli, convinto che, almeno per quanto riguarda la città partenopea, «la storiografia locale sia ancora lontana dall’essere soddisfacente» (p. 7). Il volume, di piacevole lettura, parte dalle origini nel 1921 e chiude con gli anni della guerra, quando il regime si trova a dover affrontare i moltissimi problemi di una città già in grande difficoltà prima dell’inizio del conflitto.
Lo studio si basa su un’ampia ricerca documentaria presso l’Archivio centrale dello Stato (ricerca in gran parte realizzata, ci dice l’introduzione, da Ornella De Rosa) e fa uso soprattutto delle relazioni dei prefetti, dei segretari federali e delle «informative» dei confidenti della polizia. Attento ai problemi insiti nell’utilizzo di questo tipo di documentazione, l’a. si muove con molta cautela, a volte notando le omissioni e le distorsioni nei giudizi di alcuni informatori, ma – proprio per la perizia con cui la documentazione viene impiegata – riuscendo a disegnare un’immagine del ventennio a Napoli ricca e convincente.
Partendo dalle figure dei gerarchi – dopo la morte di Padovani, quelli più in vista sono Sansanelli, Tecchi e Saraceno – Villani sottolinea la statura modesta dei capi fascisti e le difficoltà che hanno nell’incidere nella realtà napoletana. Il che non significa, come l’a. chiarisce, che il fascismo non attecchisca per niente; le cifre riportate nel testo (p. 90) dimostrano l’esistenza di un’organizzazione di massa estesa e molto articolata e ancora, verso la fine degli anni ’30, in crescita. Ma, sul significato dei numeri, nella sua analisi l’a. segue la nota distinzione fra il fascismo e il mussolinismo (e, di conseguenza, ma con meno enfasi, quella fra il totalitarismo e il cesarismo), riportando, ad esempio, i numerosi commenti alla visita del duce a Napoli nel 1931, secondo i quali la calorosissima accoglienza a Mussolini non fu affatto accordata anche ai gerarchi locali che lo accompagnavano.
Lo studio non trascura il ruolo dello Stato e, più in particolare, dei prefetti, che riescono il più delle volte a dominare un Pnf lacerato da rivalità e litigi. Villani si sofferma sulla questione della modernizzazione dell’economia partenopea e identifica uno sviluppo industriale non indifferente, ma in gran parte gestito da imprenditori privati, di ascendenza nittiana, piuttosto che stimolato dagli interventi diretti dello Stato fascista; arriva pertanto a dipingere, per gli ultimi anni di pace, un quadro misto, con l’adesione al regime del ceto medio, sia a causa dell’espansione dell’occupazione nella burocrazia sia in quanto sedotto dalla retorica dell’impero, ma, allo stesso tempo, con un ulteriore distacco della popolazione povera, spesso alla fame e sempre più impaurita dalla situazione internazionale. Conclude con l’osservazione che, anche se la popolazione fu solo parzialmente «fascistizzata» durante il ventennio, l’esperienza fascista rappresenta comunque la strada attraverso la quale si è formata a Napoli la società di massa.

Paul Corner