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Gerhard Schreiber – La vendetta tedesca. 1943-1945: le rappresaglie naziste in Italia – 2000

Gerhard Schreiber
Mondadori, Milano

Anno di pubblicazione: 2000

Pubblicato in Germania nel 1996, questo volume è ora disponibile, in una versione ampliata e rivista dall’autore, anche al pubblico italiano. Si inserisce in un panorama editoriale che negli ultimi anni ha dedicato una attenzione particolare alle stragi e agli eccidi perpetrati dai nazisti. Basti ricordare i lavori di Leonardo Paggi, Alessandro Portelli, Paolo Pezzino, Michele Battini, Gabriella Gribaudi, per evidenziare come dalla seconda metà degli anni novanta si possa parlare di una vera e propria stagione di studi sulla violenza contro i civili nel contesto della campagna d’Italia e dei meccanismi dell’occupazione tedesca. Il contributo di Schreiber si inserisce inoltre in un significativo ambito di indagini condotte da storici tedeschi, da Lutz Klinkhammer a Friedrich Andrae, tese a ricostruire i caratteri dell’attività bellica e politico-amministrativa delle truppe e degli apparati del III Reich operanti nella penisola. Come Klinkhammer, che dapprima ha preso in esame la macchina dell’occupazione (nel volume per Bollati Boringhieri del 1993) per poi passare alle stragi naziste (Donzelli, 1997), anche Schreiber – dal cui lavoro filtra una particolare passione etico-civile – prima di quest’opera ha studiato l’internamento dei militari italiani e le strategie militari tedesche in Italia. Segno evidente che il tema delle stragi non solo è assurto ad autonomo oggetto di ricerca storica, ma anche che il ricorso alla rappresaglia e la “guerra ai civili” costituiscono una sorta di approdo storiografico, un passaggio ineludibile nella comprensione della politica d’occupazione nazista e, più in generale, dei venti mesi tra il settembre 1943 e l’aprile 1945.
Il volume è diviso in due parti: nella prima si tenta di capire perché diventò possibile, come recita il titolo del primo capitolo, e quale maglia di ordini i comandi tedeschi emanarono per consentire il massiccio ricorso alla violenza e l’esecuzione di feroci rappresaglie; nella seconda, si ricostruisce una cronografia del terrore, ripercorrendo e descrivendo i principali episodi di strage. Ne emerge un quadro in cui il comportamento tedesco appare unico nel suo genere: nemmeno in Urss, secondo l’autore, vennero infatti impiegati i metodi di rappresaglia applicati agli italiani (nel caso ad esempio dei militari che rifiutarono di deporre le armi, come a Cefalonia, un precedente che indusse a comportamenti spietati anche contro civili inermi). E, ciò che sta particolarmente a cuore a Schreiber, più volte consulente nelle aule giudiziarie, è la dimostrazione che agli ordini di massacro ci si sarebbe potuti sottrarre in taluni casi e in talaltri agire comunque con maggiore flessibilità; e, di conseguenza, che il ricorso alla violenza sistematica va “ricercata nella concomitanza di vari fattori, che complessivamente fecero venire meno il rispetto per ogni vita umana che non fosse tedesca. In ciò si concretizzò un’affinità mentale dei colpevoli con l’ideologia nazionalsocialista, di cui essi introiettarono una visione dell’uomo improntata al razzismo” (p. 232).

Luca Baldissara