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Giacomo Martina – Storia della Compagnia di Gesù in Italia (1814-1983) – 2003

Giacomo Martina
Brescia, Morcelliana, pp. 427, euro 28,50

Anno di pubblicazione: 2003

Il volume si inserisce all’interno di un vasto panorama di studi che negli ultimi anni ha avuto il merito di ricollocare la Compagnia di Gesù nel complesso contesto di mutamenti che hanno caratterizzato il formarsi degli Stati e delle identità nazionali, mettendo in evidenza la poliedricità di un ordine religioso troppo spesso schiacciato tra un’interpretazione apologetica e una liberale, paradossalmente convergenti nel raffigurare i gesuiti acriticamente schierati sulle posizioni più retrive e conservatrici della Santa Sede. Al tempo stesso Martina, privilegiando una visione sintetica, ?rinverdisce? una tradizione storiografica gesuita che ha visto nella produzione di storie nazionali alcuni dei suoi momenti più alti. Lo studioso gesuita opera una sorta di tripartizione cronologica: l’Ottocento, caratterizzato nel complesso da un forte attacco nei confronti della Compagnia, il primo Novecento in cui si giunge a un maggiore accordo tra l’ordine e le istituzioni statali, una terza fase, aperta dal Vaticano II, che vede il suo centro nel generalato di Pedro Arrupe. Sono soprattutto le prime due a essere approfondite secondo una scansione tematica che ha il suo fulcro nella politica educativa e nella funzione della rivista «Civiltà cattolica». Indubbiamente la scelta dell’autore consente un maggiore approfondimento sui problemi legati alla storia italiana, ma porta con sé il difetto di rendere difficilmente comprensibili passaggi chiave nella storia della Compagnia come il generalato di Arrupe e l’indubbia sterzata ?a sinistra? di quei gesuiti coinvolti nei movimenti di liberazione dell’America latina. Il passaggio da una Compagnia ottocentesca fortemente reazionaria a quella aperta a nuove correnti come la Teologia della Liberazione rimane poco chiaro e solo un più attento vaglio della dimensione missionaria avrebbe forse potuto rimediare a questa sensazione di scollamento; inoltre, se è indubbio che nell’Ottocento la componente italiana (ma anche quella francese) gioca all’interno dell’ordine un ruolo di primo piano, per il periodo successivo la cosa non è altrettanto evidente, si pensi al ruolo chiave svolto dalla provincia statunitense o all’emergere negli ultimissimi anni della provincia indiana. A questo proposito la flessione di vocazioni nelle province europee è una questione che meritava forse una più cosciente tematizzazione. Va detto comunque che non si tacciono nel volume nodi scottanti del rapporto della Compagnia con la società italiana come l’antisemitismo, la polemica contro il modernismo, il consenso al fascismo, nodi che vengono affrontati senza giri di parole da Martina, anche se un’assunzione chiara di responsabilità non è sempre seguita da una sufficiente concettualizzazione. Un indubbio merito è, d’altronde, quello di sottolineare come all’interno dell’ordine le posizioni fossero assai più sfaccettate di quanto la stessa Compagnia tenesse a far emergere. In Martina si coglie l’eco della biografia e l’urgenza della scrittura che rendono piacevole una lettura colorita anche da spunti aneddotici, ma che forse talvolta appare meno meditata e solida storiograficamente di quanto in realtà non sia a causa di un apparato di note non sufficientemente curato.

Sabina Pavone