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Gianluca Falanga – L’avamposto di Mussolini nel Reich di Hitler. La politica italiana a Berlino (1933-1945) – 2011

Gianluca Falanga
Milano, Marco Tropea, 448 pp., Euro 22,00 (ed. or. Berlin, 2008)

Anno di pubblicazione: 2011

Che i rapporti tra Italia fascista e Germania nazionalsocialista avessero molti problemi dietro la facciata dell’alleanza è risaputo; altrettanto noto come nella diplomazia italiana varie personalità, in primis gli ambasciatori a Berlino Vittorio Cerruti e Bernardo Attolico, avessero cercato di contrastare i piani guerrafondai di Hitler. Ne hanno scritto studiosi come Mario Toscano, già nel 1956, Pietro Pastorelli, Renzo De Felice, Jens Petersen e Frederik William Deakin. Mentre il recensore aveva ampiamente scritto dei difficili rapporti tra i diplomatici italiani a Berlino e l’allora agitatore Adolf Hitler prima del 1933. Questo volume è la traduzione in italiano di un libro, già apparso in tedesco nel 2008, dello scrittore e giornalista Gianluca Falanga. La visuale è quella dei quattro ambasciatori di Mussolini susseguitisi a Berlino: Vittorio Cerruti, un convinto antinazista; Bernardo Attolico, che, pur favorevole all’alleanza con Hitler, fece poi però il possibile e l’impossibile per evitare la guerra; quindi i due ambasciatori fascisti Dino Alfieri e Filippo Anfuso. Sorprende, per la verità, che l’a. citi poco uno storico della diplomazia quale Mario Toscano e per nulla altri autori importanti come Pietro Pastorelli, mentre c’è una dipendenza eccessiva da libri di memorie che si devono considerare con prudenza, come quelli di Massimo Magistrati, Michele Lanza e Anfuso. Utilizzati invece i documenti diplomatici italiani e tedeschi pubblicati. Limitata al fondo della Repubblica sociale italiana presso l’Archivio storico del Ministero degli esteri la ricerca archivistica. Il volume ha il pregio di illustrare le vicende trattate in maniera giornalistica anche nel senso positivo del termine, cioè di renderle appassionanti e di facile lettura. Tuttavia una scarsa professionalità di storico certamente traspare dal libro: come quando l’a. attribuisce agli italiani l’origine dell’idea del trasferimento dei sudtirolesi sulla base di un solo documento tedesco senza citare i documenti italiani in contrario o quando commette errori evidenti. Per esempio scrive che Grandi fu ministro degli Esteri dal 1925 al 1929, e lo fu invece dal 1929 al 1932, oppure che Anfuso venne immesso in diplomazia dai ranghi del Partito fascista per rompere il predominio dei diplomatici di carriera. Invece Anfuso vinse, primo in graduatoria, il concorso d’ammissione nel 1925. Inoltre, la carenza di fonti importanti fa sì che non vengano menzionati i gravi errori compiuti da Attolico nella formulazione del Patto d’Acciaio. Nonostante queste pecche, il libro coglie in pieno le difficoltà del tormentato rapporto tra l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialista; come è scritto già nel prologo: «ci si era dovuti rendere conto una volta per tutte che non esisteva affatto una Weltanschauung comune, ma soltanto persone con diverse culture, passioni, sogni, aspirazioni e interessi diversi: diversi e in parte inconciliabili. Il simbolo era stato portato a termine, proprio nel momento in cui l’Asse crollava, tra accuse, recriminazioni e promesse di vendetta sanguinosa» (p. 14).

Federico Scarano