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Gianni A. Cisotto – La «terza via». I radicali veneti tra Ottocento e Novecento – 2008

Gianni A. Cisotto
Milano, FrancoAngeli, 365 pp., euro 27,00

Anno di pubblicazione: 2008

Il volume ricostruisce con grande dovizia di particolari le vicende del radicalismo veneto, il cui carattere peculiare fu ovviamente rappresentato dal suo agire in parti bus infidelium (o forse sarebbe meglio dire fidelium) ? ossia in un’area del paese nella quale, per tradizione, prevalevano i sentimenti politici moderati. Il quadro che ci restituisce l’a. è completo: organizzato intorno a un asse costituito dalle oscillanti fortune del radicalismo nelle elezioni locali e nazionali, si sofferma sulle strutture associative della Democrazia, e poi del Partito radicale; sulla stampa; sulle idee; sui rapporti con le altre forze politiche, soprattutto con il socialismo; su una serie di personalità: Giulio Alessio, Giuseppe Girardini, Luigi Lucchini, circondati da numerosi altri di rilievo minore.La parabola complessiva del radicalismo veneto, quando la si osservi da un punto di vista sufficientemente elevato, non appare poi troppo diversa da quella del radicalismo nazionale. Certo, negli ultimi decenni dell’800 in Veneto la Democrazia stenta a prendere quota più che in altre parti d’Italia. Va però irrobustendosi, e nel corso dell’età giolittiana attraversa le stesse fasi che già abbiamo visto altrove: un momento di fortuna alla svolta del secolo; una fase di maggiore difficoltà alle elezioni politiche del 1904; poi la nascita, o la conferma, di «blocchi» popolari e anticlericali entro i quali i radicali godono di particolare fortuna, e che si prolungano fino grosso modo alla guerra di Libia; infine il distacco dai socialisti e la svolta ? non positiva per il Partito ? delle elezioni del 1913. Questo quadro generale si riproduce poi con tempi e modalità differenti di area in area e di città in città: tempi e modalità che nel libro sono illustrati nel dettaglio. La prospettiva interpretativa è esplicitata fin dal titolo: il radicalismo, «borghese» ma progressista, è «terza via» fra liberalismo e socialismo. Una «terza via», inoltre, che con gli anni tende sempre di più ad accostarsi alla «prima» e a distaccarsi invece dalla «seconda». Le constatazioni sono corrette: molto del radicalismo, dalle sue ambiguità ideologiche a tante sue scelte politiche, può essere inteso proprio a partire dal suo carattere «intermedio»; e non c’è poi dubbio che l’evoluzione del Partito lo conduca a integrarsi sempre di più nelle istituzioni, mentre con l’avvicinarsi della Grande guerra i rapporti col socialismo si fanno tempestosi.Ci convince assai meno, tuttavia, il fatto che l’a. abbia voluto conferire all’evoluzione politica della democrazia italiana un carattere quasi «necessario»: «Perché fallisce la ?terza via? radicale?», si chiede l’a., «perché a sinistra essi sono chiusi dai socialisti (che incarnano lo spirito delle masse operaie), i quali fanno emergere in modo evidente le contraddizioni del pensiero radicale, che sostanzialmente appare borghese» (p. 11). Un punto di vista, questo, che tanta recente storiografia sul radicalismo europeo e sui suoi rapporti col ceto operaio, oltre che riflessioni metodologiche ormai consolidate sul carattere storico e non «naturale» delle relazioni fra forze politiche e classi sociali, rendono alquanto obsoleto.

Giovanni Orsina