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Gianni Oliva – «Si ammazza troppo poco». I crimini di guerra italiani 1940-43 – 2006

Gianni Oliva
Milano, Mondadori, 230 pp., euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2006

Il volume si presenta come un’opera di divulgazione di alta qualità che riassume i risultati della storiografia più recente sul tema dei crimini commessi dall’Italia nei Balcani durante la seconda guerra mondiale e sulla mancata punizione dei loro responsabili. Punto di riferimento dell’autore sono ad esempio i lavori di Davide Rodogno sul «nuovo ordine mediterraneo », di Tone Ferenc e di Marco Cuzzi sull’occupazione italiana della Slovenia, di Lidia Santarelli sull’occupazione della Grecia, di Carlo Spartaco Capogreco sul sistema concentrazionario fascista, di Filippo Focardi e di Costantino Di Sante sulla «mancata Norimberga italiana ». L’attenzione alle nuove acquisizioni della storiografia si salda con la conoscenza delle ricerche consolidate di storici come Enzo Collotti, Angelo Del Boca, Teodoro Sala o Giorgio Rochat. Non manca infine un’indagine d’archivio svolta dall’autore presso il Ministero degli Esteri italiano per la verifica e l’approfondimento di alcuni aspetti tematici. La parte preponderante del volume (i capitoli II, III, IV e V) è dedicata all’occupazione italiana della Jugoslavia e della Grecia dopo l’aggressione congiunta dell’Asse dell’aprile 1941, alle politiche occupazionali del governo fascista (con un’ampia disamina della precedente politica di italianizzazione e fascistizzazione operata dal regime contro le minoranze slave nella Venezia Giulia), alla «guerra contro i civili» intrapresa dalle autorità italiane per reprimere i movimenti di resistenza attraverso il ricorso ad un’ampia gamma di misure repressive come il prelevamento e l’uccisione di ostaggi, i rastrellamenti, l’incendio di villaggi sospettati di connivenza coi partigiani, le fucilazioni indiscriminate, le deportazioni dei civili in campi di concentramento come quelli di Gonars o di Arbe. Tutte misure che trovarono giustificazione nella famigerata «Circolare 3C» del generale Mario Roatta, il cui testo è riportato in appendice. Una seconda parte del volume, che occupa il I e il VI capitolo, è invece dedicata alla questione della mancata punizione dei circa 1.000 militari e civili italiani che alla fine del conflitto furono accusati dalla Jugoslavia, dalla Grecia e dall’Albania di aver commesso gravi crimini di guerra. L’autore ripercorre, attraverso una sintesi efficace, l’intera vicenda che vide i governi italiani di «unità nazionale» concordi nel rifiutare l’estradizione degli accusati (sebbene essa fosse stata prevista prima dagli accordi armistiziali e poi dal trattato di pace) e nel rivendicare il diritto dell’Italia a processare i presunti colpevoli presso i propri tribunali. In realtà, non solo nessuno fu mai portato in giudizio, ma la preoccupazione per il destino dei connazionali indusse le autorità italiane anche a frenare la richiesta della punizione dei criminali di guerra tedeschi. Chiude il volume un capitolo dedicato agli impedimenti che nel tempo hanno ostacolato l’elaborazione di una memoria nazionale capace di fare i conti con i crimini commessi da parte italiana. L’autore ritiene sia giunto il momento di far cadere, con serenità e coraggio, il comodo mito del «bravo italiano».

Filippo Focardi