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Giano Accame – Una storia della Repubblica – 2000

Giano Accame
Rizzoli, Milano

Anno di pubblicazione: 2000

Strano libro questa storia dell’Italia repubblicana. L’autore ne è stato un protagonista ed un interprete in presa diretta. Giano Accame, arruolatosi a diciassette anni nell’esercito della Rsi, è stato inviato de “Il Borghese”; ha collaborato con “Lo Stato”, il periodico diretto da Gianni Baget-Bozzo; a metà degli anni ’60 è stato uno stretto collaboratore di Randolfo Pacciardi. Successivamente ha collaborato con Epicarmo Corbino nella stesura degli “Annali dell’economia italiana” per approdare infine, agli inizi degli anni novanta, alla direzione del “Secolo d’Italia”. Si potrebbe epigrafare: una vita all’opposizione. Va dato atto all’autore di essere riuscito a prendere sufficiente distacco da un percorso tanto lungo quanto coerente. La sua storia della repubblica non è una mera messa in musica di analisi e scritti precedenti. Essa, soprattutto, soddisfa i canoni della storiografia scientifica per la precisione dell’indicazione delle fonti primarie e per la costante considerazione delle altre opere maggiori dedicate allo stesso periodo. Accame, inoltre, sa ben bilanciare l’interpretazione politica con la presentazione di dati quantitativi sui fattori socio-economici più capaci di illuminare il percorso compiuto dall’Italia tra il 1946 ed il 2000. Lo stile, infine, è essenziale e preciso come difficilmente è quello di uno storico professionista.
Accame, dunque, si fa storico e questo sforzo, entrando in contatto con l’intenzione d’offrire una lettura organica del suo oggetto di ricerca, produce spunti e interpretazioni d’indubbio interesse ma, a volte, anche esiti paradossali. L’autore dimostra di avere una fiducia smisurata nelle capacità della Politica: quella con la “p” maiuscola. Proprio tale considerazione lo porta a rimarcare il ruolo fondamentale svolto da alcune personalità fino quasi a sposare i canoni dell’individualismo metodologico. L’ordito della nostra storia repubblicana si sarebbe organizzato attorno a quattro figure: De Gasperi, Togliatti, Moro e Craxi. La sottolineatura del loro ruolo, a volte, è persino eccessiva. Per quanto i vincoli internazionali siano tenuti presenti dall’autore, non sempre egli valuta con equanimità come essi abbiano limitato lo spazio dell’iniziativa politica dei singoli. Il vero condizionamento, piuttosto, lo rintraccia nel ruolo di quelli che definisce “i poteri forti”, aspiranti ad utilizzare ed infine sommergere la politica. Qui le sue linee analitiche passano bruscamente dall’individualismo all’olismo. E la ricerca di una contrapposizione tra le ragioni della Politica e quelle dell’Economia come chiave di lettura privilegiata della storia d’Italia, finisce col sacrificare la comprensione d’intrecci più complessi e meno lineari. Questo squilibrio sfocia in un paradosso nell’ultima parte del volume dedicato agli anni successivi alla caduta del muro. Essa è pervasa da una nota di malinconica nostalgia. Un “escluso” della Repubblica rimpiange il tempo nel quale le passioni erano vere, gli scontri cruenti, la politica integrale. Un motivo questo tanto forte da prendere il sopravvento sulla capacità di cogliere l’intreccio tra rotture e continuità che l’ultimo decennio ha presentato.

Gateano Quagliariello