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Gino Bianco – Nicola Chiaromonte e il tempo della malafede – 1999

Gino Bianco
Lacaita, Manduria-Bari-Roma

Anno di pubblicazione: 1999

Il libro del giornalista e storico Gino Bianco non può dirsi propriamente una biografia. Mancano i riferimenti e le verifiche necessarie a ricostruire le vicende personali, culturali e politiche del critico teatrale lucano e a illustrarne in dettaglio anche l’itinerario umano e l’esperienza. Sono omesse, inoltre, le note e le bibliografie che avrebbero consentito l’approfondimento di alcuni temi di particolare interesse. Il lavoro tuttavia è ispirato a un obiettivo coerente che caratterizza il taglio analitico e la scrittura: l’a. si propone infatti di evidenziare l’attualità di alcuni temi elaborati da Chiaromonte nell’arco di oltre cinquanta anni di impegno culturale e politico: in particolare il rifiuto dell’ideologismo e della semplificazione, (la “menzogna utile”); e l’orrore per il “gesuitismo moderno”.
Chiaromonte, da ragazzo “un protofascista” ebbe poi il coraggio di approfondire le ragioni del suo disagio giovanile e riscoprire quel bivio al quale si era trovato nel primo dopoguerra insieme con scrittori, artisti e intellettuali italiani – molti dei quali scelsero una diversa strada. La presa di coscienza maturò compiutamente solo dopo il delitto Matteotti; fu dunque analoga a quella di altri collaboratori di “Conscientia”, “Cultura”, “Solaria” e altre riviste schieratesi inizialmente, con entusiasmo o diffidenza, dalla parte del fascismo. Di questa trasformazione l’a. ci illustra solo sommariamente alcuni risvolti ricordando l’amicizia che legò in quegli anni Chiaromonte ad Alberto Moravia, Mario Levi e Andrea Caffi ma senza esaminare la sua personale e autocritica riflessione.
Più esauriente, invece, è la ricostruzione del periodo trascorso da Chiaromonte in Francia, diviso tra una appassionata battaglia condotta nelle file di Giustizia e Libertà e l’approfondimento di studi, amicizie, ricerche in un originale ripensamento dei grandi temi di quegli anni: il totalitarismo, il comunismo, l’arte, il teatro, la storia, la politica, ma sempre e in primo piano la rivoluzione italiana, concepita non come la “fine del fascismo” ma come la ricostruzione del Paese e la rigenerazione delle sue istituzioni. Decisiva, in questa fase, la partecipazione di Chiaromonte alla guerra civile spagnola.
Utili infine anche i capitoli conclusivi del volume, dedicati al breve periodo trascorso da Chiaromonte negli Stati Uniti e, più tardi, alla direzione di “Tempo Presente”. Qui, tuttavia, l’a. si limita a ripercorrere gli argomenti della memoria sui quali Chiaromonte tornò con passione e acume, piuttosto che all’esame – che pure Chiaromonte condusse insieme con Silone – dell’emergere di un mondo culturale e politico ormai lontano dal “tempo della malafede”. Lascia perplessi, in particolare, il riferimento di Bianco a un “fondo melmoso, groviglio di menzogne e crudeltà” nel quale si sarebbe concluso il cammino del secolo. A Chiaromonte furono estranee le visioni moralistiche del mondo e della storia, mentre apparvero ben evidenti i nuovi, complessi problemi posti dall’etica, dall’arte e dalla cultura dell’età contemporanea.

Dario Biocca