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Giorgio Boatti – Preferirei di no: le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini – 2001

Giorgio Boatti
Torino, Einaudi, pp. 339, euro 15,49

Anno di pubblicazione: 2001

Il giuramento del 1931, voluto in prima persona da Giovanni Gentile, è un pezzo di storia del mondo accademico che non era finora stato oggetto di specifica analisi storica. Anche se la questione è stata trattata, rapidamente ma in modo non banale, in diversi saggi fra cui l’opus magnum defeliciano. Per il simpatetico biografo di Mussolini l’intimazione del giuramento al corpo accademico fu un azzardo. Come, già molti anni or sono, hanno scritto Luigi Salvatorelli e Giovanni Mira: ?un paio di centinaia di rifiuti avrebbero fatto molto bene. E sarebbe stata per il regime una grave sconfitta?. Le cose, si sa, andarono diversamente. E, ha osservato Alberto Aquarone, ?poté anche essere un bene, come si sostenne da varie parti, allora e dopo? in quanto si evitò ?che l’università rimanesse sguarnita di molti fra i suoi elementi migliori e cadesse preda del politicantismo fascista?. Tuttavia, se si salvò abbastanza il livello dell’insegnamento superiore salvandosi nel contempo l’anima, si perse un’occasione quasi unica per mettere in imbarazzo, forse in crisi, la dittatura e si crearono le premesse di un altro atteggiamento acquiescente, per non dire di peggio, del mondo universitario italiano, quello che si registrò nel ’38 al momento dell’emanazione della legislazione antiebraica, che il livello dell’accademia italiana contribuì ad abbassare in modo notevole.
Dopo settant’anni, a breve distanza l’una dall’altra, a scavare su quella vicenda e sui loro protagonisti arrivano nelle librerie due opere notevoli, e fra loro in qualche modo complementari: quella di Helmut Goetz, traduzione di un lavoro originariamente uscito in Germania nel 1993 e questa di Giorgio Boatti.
Mentre Goetz ricostruiva il processo attraverso il quale si arrivò a decidere di imporre il giuramento e le reazioni che quella scelta suscitò, Boatti centra il suo bel volume su una ricostruzione, a tutto tondo, delle storie di chi non giurò e delle loro reciproche relazioni. Ne esce non solo una galleria di ritratti notevoli, ma, in controluce, l’avvio, per quanto aurorale, della risposta all’interrogativo più pressante, e ancor oggi del tutto attuale, che la storia del giuramento del ’31 propone: la coscienza o meno di sé e del proprio ruolo dell’intellettuale e dello scienziato inserito in corpi accademici. Non si tratta, è ovvio, di misurarne l’ardimento ma di chiedersi come mai, allora come alcuni anni dopo in Germania e ? penso ? come oggi, solo una ristretta minoranza abbia reale percezione di cosa significhi, e quindi comporti, essere membri dell’istituzione in occidente più longeva dopo Santa Romana Chiesa, la cui base ? di forza, vorrei dire, ancor prima che etica ? sta nell’autonomia e nella irrinunciabile libertà di ricerca e insegnamento.

Roberto Finzi