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Giorgio Cavalleri – Nelle fabbriche di Hitler – 2001

Giorgio Cavalleri
in collaborazione con Spi-Cgil e Istituto di Storia Contemporanea di Como, Milan

Anno di pubblicazione: 2001

Dal desiderio, più che legittimo, di consentire anche a italiani di fruire dei tardivi riconoscimenti finanziari previsti per coloro che durante la Seconda guerra mondiale avevano lavorato coattivamente nel Reich hitleriano è nata una straordinaria documentazione, della quale questo libro è una sintesi. Il sindacato e l’Istituto di Storia Contemporanea di Como hanno infatti promosso la raccolta di circa 12.000 schede biografiche riguardanti deportati italiani, militari e civili. Cavalleri ne pubblica un centinaio. Sono schede perlopiù brevi, raramente occupano un paio di pagine. Rappresentano barlumi di testimonianza su una vicenda umana molto sofferta, sia allora, che dopo. Nel dopoguerra questo aspetto della storia nazionale è stato messo in secondo piano sia dai protagonisti, che dalle istituzioni. I motivi sono tanti: da un lato il prevalere della memoria resistenziale e dall’altro la difficile classificabilità di queste persone entro categorie precise: non erano perseguitati politici o razziali, ma perlopiù soldati caduti nella rete tedesca dopo l’8 settembre. Fossero soldati che si erano arresi senza opporre alcuna resistenza, o civili rastrellati nell’Italia settentrionale durante le fasi finali della guerra, un elemento di vergogna si è sovrapposto alle loro memorie, facendole tacere per decenni, espungendole dalla memoria collettiva nazionale. Ancora oggi dalle schede raccolte in questo volume emerge la difficoltà di far riemergere un passato di degradazione, di dolore. Nel libro non sono poche le testimonianze rese da congiunti, sia perché il padre era morto, sia perché invece non aveva la forza di scrivere in prima persona. Né manca il rammarico per essere stati invitati a ricordare solo ora, quando l’età avanzata rende difficile ricordare (?Questo è quanto ricordo. Altre cose sono racchiuse nella cassaforte della mia mente, ma per cause dovute all’età non sono riuscito a farle affiorare?, p. 28). Si tratta di schede piuttosto scarne, nelle quali prevalgono alcuni motivi dominanti: il viaggio viene descritto ampiamente e spesso i testimoni ricordano di avere pensato che la tradotta li stesse riportando in patria. In alcuni casi, il ricordo del viaggio è preciso fino negli orari di partenza e di arrivo. Altri elementi ricorrenti con precisione sono il vitto, i lunghissimi orari di lavoro. La maggior parte delle schede sorvola invece sui contatti con la popolazione tedesca o con altri deportati. Ricorre, infine, con insistenza il topos del viaggio di ritorno in Italia, spesso molto avventuroso. Non pochi rientrarono in patria solo nella tarda estate del 1945. Il libro offre innumerevoli spunti di riflessione sul triste destino di questi soldati, abbandonati a se stessi dopo l’8 settembre e sottoposti ad ogni sorta di degradazione nel lungo periodo della deportazione. Esso propone squarci su un giacimento documentario che merita studi approfonditi, anche di tipo seriale. Forse, sarà questa la strada per rivalutare quella pagina dimenticata della nostra storia.

Gustavo Corni