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Giovanni Di Capua – De Gasperi e la democrazia dell’alternanza – 2008

Giovanni Di Capua
Soveria Mannelli, Rubbettino, 181 pp., euro 14,00

Anno di pubblicazione: 2008

Il volume ricostruisce e analizza, attraverso l’uso quasi esclusivo di fonti coeve, l’eventuale presenza nell’Italia del centrismo di condizioni politiche tali da permettere l’instaurazione di una democrazia dell’alternanza. L’a. infatti, che ha alle spalle una storia di militanza nella Dc, muove dal presupposto che «in astratto, una alternanza democratica fu ad un certo punto possibile, e tagliava fuori, per entrambi i corni, le due estreme» (p. 13), coinvolgendo da un lato la Dc e, dall’altro, il Partito socialdemocratico. Certo Saragat sosteneva che toccasse al Psdi «proporsi come forza di alternanza» alla Dc (p. 60) e, al contempo, lavorare per la riunificazione di tutti i gruppi socialisti. Ma la trasformazione in questo senso del quadro politico implicava la formazione di un blocco socialista-legalitario contrapposto ad uno conservatore. La Dc degli anni ’50, interclassista, con una forte sinistra interna, e appena uscita dall’esperienza resistenziale, difficilmente avrebbe potuto diventare tout court un partito di destra. Ma a non convincere del tutto è anche il quadro cronologico all’interno del quale si colloca la ricerca.Saragat, sicuro che il tempo dell’alleanza con la Dc sarebbe durato a lungo (p. 95), «sia pure come prospettiva teorica e remota», coltivava certamente l’ambizione che, dopo la sconfitta della politica dei blocchi di sinistra, il suo partito avrebbe potuto proporsi «come uno dei due perni, assieme alla Dc, su cui incentrare il sistema politico italiano» (p. 28). Ma l’ambizioso disegno saragattiano non sembra coincidere con il breve arco temporale scelto dall’a. Per lo stesso motivo appare audace identificare il passaggio della riforma elettorale del 1953 come quello in cui, in astratto, avrebbero potuto porsi le condizioni per l’alternanza, come sembra invece ritenere l’a. Infatti nessuna riforma avrebbe potuto, di per sé, produrre come risultato un consistente decremento sia comunista sia democristiano, un massiccio incremento del Psdi e dei partiti minori, consentendo ai socialdemocratici (insieme a Pri e Pli) di diventare protagonisti della svolta (p. 166).Anche se la ricerca non è priva di valore, le ipotesi iniziali finiscono per condurre fuori strada nell’analisi del ruolo politico che fu proprio del Psdi. Infine, non sembra condivisibile un’ultima riflessione che meritava forse una spiegazione più ampia e che vuole il sodalizio tra De Gasperi e Saragat basato anche sulla «comune diffidenza verso l’azionismo e il dossettismo (e successori)» (p. 163). Se pure fu questo il sentimento che animava il leader democristiano, fu lo stesso De Gasperi nel 1949 ad aprire alla sinistra dossettiana e, in seguito, a permettere che la guida del Partito passasse dalle mani degli ex popolari ai giovani di Iniziativa democratica (ossia i successori di Dossetti). Le carte d’archivio e molta della storiografia più e meno recente lo confermano, ma, a quanto pare, l’a. non ha tenuto conto del dibattito storiografico tranne che per il lavoro di Gaetano Quagliariello sulla riforma elettorale del 1953.

Monica Campagnoli