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Giovanni Gregorini – Per i bisogni dei «non raggiunti». L’Istituto Suore delle Poverelle tra Lombardia orientale e Veneto (1869-1908) – 2007

Giovanni Gregorini
Milano, Vita e Pensiero, 109 pp., Euro 12,00

Anno di pubblicazione: 2007

Il libro di Gregorini indaga su uno dei tanti istituti assistenziali che, fino alle soglie del XX secolo, rappresentarono l’unico tipo di welfare state esistente in Italia. Come la maggior parte degli istituti dello stesso tipo dediti alla «formazione religiosa, morale e professionale dei ragazzi e delle ragazze più povere» (ospizi, orfanotrofi, educandati, ospedali, brefotrofi, collegi ecc), quello in questione era di natura ecclesiastica, anzi direttamente gestito da un ordine religioso femminile e fondato da un sacerdote bergamasco, Luigi Maria Palazzolo, nel 1869. La città di Bergamo era una delle più importanti nella Lombardia del XIX secolo e l’Istituto si inserì rapidamente in un territorio che, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, conobbe una rapida industrializzazione. L’analisi delle attività economiche e finanziarie della congregazione religiosa dimostra la necessità, per i fondatori, di intrecciare relazioni con il territorio per raggiungere, attraverso una vera e propria «imprenditorialità sociale e religiosa», quelle finalità assistenziali proprie della «ragione sociale» dell’Istituto.Fu così creata in pochi anni una rete diffusa di opere assistenziali nelle tre province di Bergamo, Brescia e Vicenza, che veniva incontro alle esigenze di una società in movimento e in via di modernizzazione. La prima parte ricostruisce la storia della città e della famiglia del fondatore, la nascita e lo sviluppo dell’Istituto fino alla morte di Palazzolo e, dopo, sotto la direzione della prima madre generale Maria Teresa Gabrielli. Particolarmente interessanti i capitoli dedicati ai rapporti tra l’istituto e lo sviluppo locale, all’evoluzione dei modelli contabili e al rapporto tra centro e periferia. La seconda parte comprende un’ampia appendice di documenti di diseguale rilevanza: fotografie d’epoca molto belle, dell’Istituto e delle sue ospiti, ma anche foto di documenti di cui non si capisce l’utilità nell’economia del saggio; vari rendiconti annuali con un semplice elenco di spese e di entrate e ben più interessanti accordi tra l’Istituto e opifici locali come quello con un cotonificio al quale venivano «concesse» le suore per la sorveglianza delle operaie.La ricerca è chiaramente limitata alla vita dell’Istituto bergamasco. Nonostante ciò colpisce la assoluta mancanza di riferimenti a una ormai ampia storiografia sulle opere pie e sugli istituti assistenziali e di beneficenza del XIX secolo: del tutto ignorati dall’a. sono i saggi di Lepre, Tonelli, Cherubini, Farrell-Vinay, Fiori e tanti altri che hanno scritto pagine fondamentali su tali tematiche. Così come nessun accenno viene fatto alle inchieste sulle opere pie degli anni ’60 e ’80 dell’800 e alla relativa legislazione (se si escludono le poche righe in cui si accenna alla legge crispina).Si perde così l’occasione di inserire lo studio di un caso particolare all’interno di quello che fu un processo di grande rilevanza storica: la riorganizzazione e laicizzazione dell’assistenza compiuta prima da Crispi e poi da Giolitti proprio nel periodo preso in esame dall’autore.

Giancarlo Poidomani