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Giuliana Muscio – Piccole Italie, grandi schermi. Scambi cinematografici tra Italia e Stati Uniti 1895-1945 – 2004

Giuliana Muscio
Roma, Bulzoni, pp. 380, euro 23,00

Anno di pubblicazione: 2004

La costruzione dell’immagine dell’italiano nel cinema americano, tema difficile e affascinante, è l’asse di questa ricerca. È infatti curioso notare che la macchietta dell’italoamericano è ancora oggi un evergreen dell’immaginario hollywoodiano: ?cibo, mafia, passione e famiglia?, osserva l’autrice, ?sono ancora ingredienti dominanti nel raccontare questa comunità? (p. 366). Eppure non si tratta soltanto di un’utile e accuratissima schedatura degli scambi cinematografici tra Italia e Stati Uniti, come con molta modestia recita il titolo. Gli appassionati di storia del cinema vi troveranno una miniera di notizie su vite e carriere degli italoamericani passati da Hollywood tra cinema muto e sonoro, figure dimenticate o sconosciute, come Cesare Gravina o Henry Armetta o Jack La Rue o Eduardo Ciannelli, come le stirpi degli Aguglia e dei Minciotti, come Francesco Pennino, musicista e capocomico e nonno di Francis Ford Coppola. Dunque non figli d’arte ma nipoti, e talvolta bisnipoti! Tuttavia il saggio di Giuliana Muscio è di interesse anche per lo storico generale che si occupa del tema sfuggente delle identità nazionali, e contribuisce a fissare alcune coordinate cronologiche e concettuali.
I film hollywoodiani degli anni Dieci e Venti rispecchiano a perfezione il passaggio dai forti pregiudizi dell’ideologia americana nativista imbevuta di razzismo (?non sono abbastanza bianchi?), al cliché dell’italiano sentimentale, passionale e geloso, abbinato transitoriamente allo stereotipo del trouble-maker anarchico e infine a quello, molto più stabile, del malavitoso e del mafioso. A questo destino di ?indesiderabili? si può sfuggire, come più tardi gli eroi di John Fante, solo girando dall’altra parte e cancellando le proprie origini per assurgere ai vertici dello star system (il caso più emblematico rimane Rodolfo Valentino). Già alla metà degli anni Venti si possono registrare i segni di una svolta: per la prima volta attori italiani vengono impiegati in ruoli di italiani. Eppure è soltanto negli anni Trenta che ?la comunità italoamericana prende coscienza della sua doppia natura e costruisce il trattino di collegamento, l’hyphen che la rende italo-americana? (p. 275). Anche perché, nel frattempo, l’immigrazione dei neri dal Sud al Nord ha spostato l’asse della paura wasp dall’immigrato straniero all’afroamericano.
Rimangono beninteso i grandi transfughi, come il siciliano non siciliano Frank Capra, che prenderà la massima distanza dai temi della cultura italoamericana. Ma inizierà da allora quella forma innovativa di adattamento culturale, feconda di contaminazioni e impermeabile alle idealizzazioni del nazionalismo fascista, che assesterà nel lungo periodo le basi di un italian pride lontano, contraddittorio e sostanzialmente incomprensibile.

Luciano Granozzi