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Giuseppe Bedeschi – La fabbrica delle ideologie. Il pensiero politico nell’Italia del Novecento – 2002

Giuseppe Bedeschi
Roma-Bari, Laterza, pp. 432, euro 25,00

Anno di pubblicazione: 2002

Opera impegnativa ed importante, questa storia delle ideologie politiche del Novecento italiano si basa su un assunto fondamentale: la constatazione della scarsa fortuna avuta nel nostro paese dalle posizioni di tipo democratico-liberale. L’intera vicenda politico-ideologica italiana del secolo scorso, afferma Bedeschi, è stata soprattutto caratterizzata da filoni di pensiero che, sia da destra sia da sinistra, assegnavano alla politica obiettivi palingenetici, le attribuivano l’obiettivo di una radicale trasformazione della società e delle coscienze, riconoscevano dunque agli intellettuali quel ruolo demiurgico e ?giacobino? che per certi aspetti sopravvive ancora oggi.
Su questa base la ricostruzione storica operata da Bedeschi contraddice inevitabilmente molte interpretazioni che hanno largamente circolato (e che spesso circolano tuttora) nella nostra storiografia. Mi riferisco, ad esempio, alla sua critica dell’interpretazione dell’?Ordine Nuovo? di Gramsci come di una rivista dai tratti quasi ?libertari?, interpretazione che dunque sottovaluta quel che Bedeschi invece, basandosi su una appropriata lettura dei testi, individua come un orientamento fondamentalmente soreliano-leninista. Mi riferisco anche alla illustrazione del pensiero di Dossetti e dei suoi collaboratori, che giudicavano i valori cristiani ?in contrasto più con il capitalismo borghese che con il comunismo?, giungendo per questa via a considerare l’Unione Sovietica come un paese più vitale degli Stati Uniti. Soprattutto, Bedeschi sottopone a revisione un’interpretazione consolidata delle idee di Gobetti, mostrando come, in ciò che avevano di maggiormente originale, quelle idee si discostassero notevolmente dall’orizzonte democratico-liberale. Non è il primo, Bedeschi, a sostenere che le confuse posizioni di Gobetti, che portavano il giovane torinese ad arruolare nelle file del liberalismo perfino Lenin e Trotzki e a riservare invece aspre critiche al riformismo turatiano, avevano poco a che vedere con la tradizione del pensiero liberale, che pone al centro, e considera irrinunciabile, la protezione giuridica delle libertà individuali. E nemmeno è il primo ad osservare come la pretesa ? ripetuta da tanta storiografia – che Gobetti avesse fondato una forma, peculiarmente italiana, di liberalismo ?rivoluzionario? sia sostanzialmente priva di fondamento, rivelandosi ? più che una tesi storiografica ? uno dei prodotti stessi, per riprendere il titolo del volume, della ?fabbrica delle ideologie?. Tuttavia è la prima volta che in modo organico giudizi del genere entrano a costituire la trama di un’opera di sintesi storica e di consultazione (con la parziale eccezione della Storia dell’idea antiborghese in Italia di Domenico Settembrini, che aveva però una struttura alquanto diversa). Il libro avrebbe dovuto perciò suscitare discussioni animate, provocare giudizi anche aspri, poiché le sue valutazioni contrastano con interpretazioni diffuse. Così invece non è stato, e questo non rappresenta certo un fatto positivo.

Giovanni Belardelli