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Giuseppe Mayda – Mauthausen. Storia di un Lager – 2008

Giuseppe Mayda
Bologna, il Mulino, 476 pp., euro 28,00

Anno di pubblicazione: 2008

Attraverso quattordici capitoli Mayda ci propone una esposizione sulla storia di Mauthausen, dove arrivarono oltre seimila deportati italiani. I temi affrontati vanno dalle vicende legate al sorgere del Lager, nei dintorni di Linz e vicino a cave di granito, al complesso rapporto tra popolazione concentrazionaria e locale, alla cronologia dell’affluirvi dei deportati di tutta Europa. L’a. affronta anche il peso della prigionia femminile, le pesanti condizioni di vita patite dagli ebrei (che vi giunsero come le donne nella sua fase terminale), le carenze documentarie, che rendono problematico un calcolo delle morti privo di lacune e ? da ultimo ? la proposta (francamente discutibile) di definire il ‘900 quale «secolo di Mauthausen», per la pervasità della sua memoria nei reduci e l’esistenza colà di un campo di prigionia militare nel corso della Grande guerra. È questo un libro che dà il suo meglio nelle parti dedicate all’Italia, dove i riferimenti alla memorialistica e alla storia forniscono stimoli di riflessione, benché la sovrapposizione in qualche punto tra vicende di deportazione in Konzentrationslager (Kl) e di lavoro coatto nel Terzo Reich (cfr. pp. 276 e 283-284) possano confondere il lettore non specialista. Si tratta infatti di due esperienze di prigionia legate a strutture amministrative del tutto separate: l’una era gestita dall’apparato SS, la seconda dal Generalbevollmächtigter für den Arbeitseinsatz ? Gba (Plenipotenziario generale per l’impiego della manodopera nel Reich) e dunque con prospettive ed esiti diversi. Nel complesso il lavoro rimane sospeso tra la ricostruzione fattuale e la dimensione del romanzo storico: la continua traduzione del Lager in un campo dell’orrore, caricata da espressioni anacronistiche come «nacque quel campo di concentramento con compiti omicidi contigui allo sterminio pianificato» (p. 21) ne decontestualizza le vicende. Colpisce l’assenza di attenzione a nodi cruciali, quale quello relativo al nesso tra oppressione e razionalità economica, di particolare rilievo nel caso italiano, dove la prigionia cadde nella fase di vita del mondo concentrazionario nazista in cui esso venne asservito alle esigenze dell’industria tedesca e la logica dell’oppressione venne perciò contraddittoriamente, ma congiuntamente, ad associarsi all’esigenza di utilizzare al meglio i deportati ai fini della produzione bellica. Come è noto, l’arresto del fronte davanti a Mosca ed il passaggio alla guerra d’usura aveva imposto al Terzo Reich, nel primo semestre del 1942, una svolta radicale imperniata sulla pianificazione della produzione bellica: sua parte integrante fu la progressiva finalizzazione del sistema dei Kl alla economia di guerra. Il Lager in cui giunsero gli italiani, in gran parte dopo l’8 settembre 1943, differiva perciò significativamente da quello del periodo precedente.L’analisi risulta infine qualche volta distorta dal mettere sullo stesso piano studi di peso assai diverso: così Hans Mar?álek, ex deportato a Mauthausen e autore di una storia sul campo, viene spesso menzionato assieme a Michel Fabréguet, che quelle ricerche ha su molti punti rettificato.

Giovanna D’Amico