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Giuseppe Motta – Le minoranze nel XX secolo. Dallo Stato nazionale all’integrazione europea – 2006

Giuseppe Motta
Milano, FrancoAngeli, 223 pp., euro 20,00

Anno di pubblicazione: 2006

«Coraggiosi, molto coraggiosi!», esclamava sarcastico Zola davanti al primo sorgere del caso Dreyfus. Le maggioranze, politiche o religiose, linguistiche o culturali, hanno sempre alimentato un’avversione sproporzionata verso le minoranze, cercando di trasformare in pericolo di massa la presenza, talora numericamente esigua, di una alterità. Eppure la categoria di «minoranza» è per definizione relativa: si è sempre in minoranza rispetto ad altri. Come diceva Isaac B. Singer bene farebbero le nazioni, anche le più potenti, a rendersi conto, in tempi rapidi, che esse stesse sono in esilio. L’autore di questo interessante saggio parte da un assunto universalistico, che paradossalmente non perde di vista una concreta prospettiva relativistica. Infatti non esiste una definizione di minoranza da tutti accettata: «Si distingue fra gruppi etnici o nazionali, minoranze senza madrepatria o invece legate a un altro Stato, etnia ed etnicità» (p. 10). Vi sono minorities of force e minorities of will, secondo la nota distinzione di Francesco Capotorti. I primi esempi di tutela delle minoranze si possono fare risalire ai trattati di Westfalia (1648), ma la situazione odierna si è assai modificata: il processo di unificazione europea, comunque proceda, offre agli studiosi l’opportunità di ripensare alle origini di ciascuna nazione e di riflettere sulla loro complessa composizione. Se da un lato il problema delle minoranze sembra passare in secondo piano ? la tutela minoritaria dei trattati di Versailles potrebbe essere sostituita da un’impostazione dei diritti umani concepiti su base individuale ?, d’altra parte è altrettanto innegabile che in talune parti d’Europa, per esempio in Irlanda o in Tirolo, le vecchie ferite del Novecento non sembrano cicatrizzarsi rapidamente davanti all’allargarsi della comunità europea, né la nascita dello Stato d’Israele sembra aver semplificato i problemi per la diaspora ebraica. A partire da questa constatazione generale il libro offre al lettore una efficace sintesi storiografica; due secoli di storia europea attraversati in un cammino a ritroso: come mai alcune entità si sono trasformate in nazione e altre sono state relegate in una posizione di marginalità pur avendo partecipato attivamente ai singoli processi di riunificazione? La prospettiva è molto affascinante e l’autore non si lascia prendere la mano da tecnicismi giuridici o concettuali: si può dire che la sua sia una storia dell’Europa minoritaria narrata con gusto di divulgazione e non perdendo mai di vista le questioni generali. Sei in tutto le problematiche affrontate: gli Stati plurinazionali (Cecoslovacchia, Jugoslavia); le minoranze nelle nazioni centro-europee (in specie Romania e Polonia), l’Unione Sovietica, dalla Rivoluzione d’ottobre al disgregarsi e al nascere di nuove nazioni; la questione ebraica dai decreti di emancipazione alla dichiarazione Balfour; la vicenda del popolo rom; il Sud Tirolo e le altre minoranze linguistiche.

Alberto Cavaglion