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Giuseppe Olmi – Uno «strano bazar» di memorie patrie. Il Museo civico di Trento dalla fondazione alla prima guerra mondiale – 2002

Giuseppe Olmi
Trento, Museo storico in Trento onlus, pp. 220, euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2002

Partendo dall’idea che il museo storico rifletta molti tratti della cultura e dell’identità di un territorio (Pomian), il libro approfondisce la storia del Museo civico di Trento dal 1856, anno della sua inaugurazione, alla Grande guerra. Accennando alle novità introdotte dalla Rivoluzione francese nell’ambito del collezionismo pubblico, l’autore colloca giustamente il museo all’incrocio di varie istanze, conservative, conoscitive ed educative. A Trento si aggiunse una pronunciata tendenza a fondare sulla documentazione archeologica e naturalistica la tutela di un’italianità di lunghissimo periodo: esemplare fu lo sforzo finalizzato ad acquistare la celebre Tavola Clesiana, che fu utilizzata come il ?diploma della nazionalità? dei trentini, anche per evitare che l’esibizione di pezzi simili presso altri musei (il Ferdinandeum di Innsbruck) potesse sottrarre prove o svuotare il senso dell’italianità della regione.
Una particolare attenzione è dedicata ai principali artefici e custodi dell’operazione museale. La scelta è giustificata: la grande maggioranza dei musei storici del tempo era legata a doppio filo alla sensibilità, ai gusti di coloro che ne dirigevano le sorti, come segnalano le lunghe gestioni di Francesco Ambrosi (successore di Tommaso Gar nel 1864) e di Lodovico Oberziner, che gli subentrò nel 1897. Olmi si muove in modo equilibrato tra gli impulsi personali dei direttori e il significato che il museo assunse presso i settori dell’associazionismo privato, che a Trento (come nella vicina Rovereto) ebbero un ruolo importante nella salvaguardia del patrimonio storico-artistico: il museo diventava un luogo di riconoscimento di una borghesia intellettuale e delle professioni che andava alla ricerca di nuovi spazi di legittimazione. Il numero dei donatori induce a pensare che una parte consistente degli abitanti percepisse il Museo ?come uno strumento in grado di coagulare speranze, progetti e desideri di tutti e di dare piena visibilità alla storia e alla tradizione? (p. 70). Molto utili sono perciò sia gli elenchi dei doni e dei donatori, che il volume riporta in appendice per alcune annate di fine secolo, sia i dati riferiti ai visitatori (1902-1914), con picchi di 3.000 visite, in larga parte concentrate nei giorni delle solennità festive cittadine dei santi Pietro e Paolo e Vigilio.
Alcune osservazioni molto pertinenti (l’invito a non scordare che un secolo fa il museo era ancora un ?luogo di incontro con la meraviglia?) avrebbero meritato un confronto più ravvicinato con altre tipologie museali civiche e storiche. Trattandosi di memorie patrie, un termine di confronto utile può essere rappresentato, nel caso italiano, dai musei del Risorgimento (ma proprio a Trento, all’inizio del secolo, Cesare Battisti propose la costituzione di un museo analogo): numerose sono le affinità, sia in tema di sedi poco capienti, di personale, di risorse, sia in termini di scelte espositive (lo ?strano? e ?mostruoso bazar? evocato da Giuseppe Gerola richiama le sapide invettive di Alessandro Luzio contro il ?bric-à-brac? di tanti musei del Risorgimento).

Massimo Baioni