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Giuseppe Parlato – La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato – 2000

Giuseppe Parlato
il Mulino, Bologna

Anno di pubblicazione: 2000

Il libro contiene un’attenta e ben periodizzata analisi della “sinistra fascista” dalle origini ai giorni nostri. Il primo capitolo, quasi un prologo, tratta del “mito del Risorgimento”. Un capitolo, quasi un saggio a sé, è dedicato al “lungo progetto di Tullio Cianetti”, ultimo ministro delle corporazioni, convinto razzista, congiurato del 25 luglio subito pentitosi. La parte centrale del volume è dedicata al sindacalismo, al “nuovo fascismo” vagheggiato dopo l’Etiopia soprattutto dai giovani con la prospettiva della “guerra rivoluzionaria”, al “mito” e alla “ideologia” del lavoro, alla Rsi, al neofascismo. L’autore seziona analiticamente l’oggetto della sua ricerca – e non poca fatica deve essergli costata leggere e riassumere tante pagine prolisse, ripetitive e autoreferenziali – con l’ambizione di offrire un profilo articolato e complessivo del fenomeno preso in esame.
L’intento interpretativo è enunciato già nel titolo del volume: storia non del “fascismo di sinistra”, ma della “sinistra fascista”. Nel primo caso il fascismo è la sostanza e la sinistra è l’accidente; nel secondo caso è vero l’inverso. L’autore segnala così un nodo storiografico aggrovigliato al punto che egli finisce più volte con il contraddire la propria enunciazione programmatica. Ad esempio, il paragrafo 5 del primo capitolo è intitolato La sinistra della destra e a p. 202 si parla di “percorso tutto interno al fascismo”. Su questa strada Parlato si impegna, credo con buone ragioni, a dimostrare che molti atteggiamenti giudicati spesso incunaboli di antifascismo siano invece schiettamente fascisti. Sorge così il problema, centrale per l’autore, dei successivi passaggi all’antifascismo in genere e al comunismo in specie. Esaminare le scorie di varia profondità che questi transiti diretti dal fascismo al comunismo hanno portato con sé è necessario. Sciogliere il nodo stabilendo l’equiparazione fra rivoluzionario e totalitario, affermare che quanto più i fascisti aspiravano alla democrazia tanto più diventavano totalitari, appare un’applicazione un po’ scolastica delle tesi sulla democrazia totalitaria.
Molti sono i problemi sui quali il libro invita a riflettere. Ad esempio: il confronto tra il corporativismo italiano (del quale si tacciono peraltro le scaturigini anche cattoliche) e il sistema nazionalsocialista della comunità aziendale e del Fronte del lavoro; l’atteggiamento della sinistra fascista di fronte all’istituto della proprietà. Altri importanti nodi sono invece trascurati. Ad esempio: il rapporto con i cattolici (cui si accenna solo per il dopoguerra); quello con la “amministrazione parallela” (ricordata solo per alcune insofferenze di Cianetti verso l’Iri). Sulla Rsi, Parlato afferma giustamente che “anche a Salò la sinistra fascista fu in minoranza” (p. 302).
Infine, la “sinistra fascista” appare sconfitta anche nella contesa posteriore al 1945 sulla eredità del fascismo. Ancora una volta si è trattato, coerentemente al sottotitolo del libro, di un “progetto mancato”.

Claudio Pavone