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Giuseppe Vacca (a cura di) Gramsci e il Novecento – Fondazione Istituto Gramsci, Annale 1997/IX, vol. 1 (in collaborazione con Marina Litri) – 1999

Giuseppe Vacca (a cura di) Gramsci e il Novecento
Carocci, Roma

Anno di pubblicazione: 1999

Si tratta della silloge parziale dei contributi presentati all’ultimo convegno internazionale di studi gramsciani, svoltosi a Cagliari nel 1997. I convegni gramsciani hanno rappresentato a lungo, a partire dal dopoguerra, formidabili momenti di cristallizzazione della vita culturale repubblicana, da quello del 1957 – segnato dall’operazione politica di Togliatti verso la cultura umanistica nazionale a ridosso del trauma di Budapest – a quello del 1967 – attraversato dalle brezze di annuncio della primavera dell’anno successivo nelle rivalutazioni eterodosse del Gramsci ordinovista e teorico dei consigli operai – a quello del 1977, diviso tra acribia filologica e velleità eurocomunistiche.
Oggi le liste a piè di pagina dei dati quantitativi di ponderose edizioni e innumerevoli traduzioni dans tout le monde rivelano solo un senso apotropaico, di fronte al declino dell’”egemonia” del lessico gramsciano nella politica nazionale. Il volume documenta anche la dispersione degli interessi degli studiosi – dai Cox ai Cohen, dai Kanoussi ai Gill – ma soprattutto l’assenza di coesione culturale e di problematizzazione rigorosa. Non mancano voci robuste – Bodei o Ciliberto, ad esempio – ma abbondano soprattutto interventi diseguali per livello e per metodo. E tuttavia qualche fiore spunta: tra le pagine di Montanari dedicate agli intellettuali europei “della crisi della civiltà”, che contestualizzano in modo meno provinciale la posizione di Gramsci versus Croce e versus Gentile; o tra le righe di Ferroni, dedicate a due presunti modelli di posizione intellettuale verso la storia e la società – l’intuizione mistica delle “correnti profonde della storia” (Bergson o Sartre) o il ruolo di riferimento per la comunità politica (Gramsci, Gentile, Gobetti). Ma per “l’eroe che pensa” – come ha scritto altrove Berardinelli – non c’è più futuro nella società post-industriale. Tra i saggi, infine, spicca per nettezza di giudizio politico quello di Telò, che documenta l’estraneità del pensiero gramsciano dei Quaderni all’orizzonte ideologico della socialdemocrazia e del comunismo europeo inesorabilmente “bolscevizzato negli anni Trenta”. Ma merita una menzione anche l’intervento di Pons e Benvenuti, ove si vorrebbe dimostrare il ritardo con cui Gramsci avrebbe criticato l’involuzione burocratica e autoritaria del partito comunista sovietico e le forme totalitarie della collettivizzazione agraria. La loro lettura dei Quaderni non convince del tutto anche rispetto all’interpretazione di quella “linea d’ombra” dei rapporti del Gramsci con il partito italiano e con quello sovietico. Come lui stesso scrisse nelle lettere a Tatiana, Gramsci soffrì per sentirsi “doppiamente carcerato”, verso il mondo di fuori e verso i suoi stessi compagni.

Michele Battini