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Giuseppe Vacca – Il riformismo italiano. Dalla fine della guerra fredda alle sfide future – 2006

Giuseppe Vacca
Roma, Fazi, IX-280 pp., euro 18,00

Anno di pubblicazione: 2006

Il volume, composto da sei saggi, quattro dei quali già editi e ora ripresentati in forma più ampia, «tenta una ricostruzione storica della vicenda politica italiana dalla fine della guerra fredda ad oggi e, come si sa, fare storia del presente è operazione quanto mai azzardata» (p. VII). Supportato da un ampio apparato di note bibliografiche, il libro a tratti si configura quasi come una riflessione sull’attualità, opportuna anche per i recenti sviluppi legati alla formazione del Partito democratico. In realtà, «la trattazione è incentrata su un attore e su un problema, il riformismo», di cui si cerca di inquadrare il percorso da quando si sono create le condizioni «del riconoscimento reciproco, fra gli attori della vita politica, della legittimazione a governare » (p. VII). Nel prologo, Vacca si sofferma su alcuni passaggi della storia del ‘900 intorno ai quali si sarebbe via via ridefinito il concetto di riformismo. Si passa dalla crisi dei primi anni ’30 alla stagione dei fronti popolari, capace di aprire «anche nel movimento comunista […] un varco alla conciliazione fra classe e nazione» (p. 6); dalla guerra antifascista all’ascesa del «riformismo nazionale» nel secondo dopoguerra; dalla fine del sistema di Bretton Woods al «conflitto economico mondiale»; dalla conclusione della guerra fredda fino alla «asimmetrica » globalizzazione, variabile centrale del ciclo politico degli anni ’90. Il secondo saggio affronta i primi anni del PDS, con una finestra sugli anni ’80 e le difficoltà del PCI di trovare uno spazio politico dopo la fine della «solidarietà nazionale» e l’ascesa di Craxi che, immaginando di vincere «la competizione al centro con la DC» e, contemporaneamente, «esasperando la discriminazione verso il PCI […] non faceva altro che rallentare il percorso terminale del PSI» (p. 20). Il terzo saggio è dedicato alla proposta politica di D’Alema, eletto segretario del PDS dopo la sconfitta del ’94 e impegnato da un lato a inquadrare la crisi della Repubblica dopo la fine della «centralità democristiana» e del «compromesso assistenziale» garantito dai vecchi partiti di governo, dall’altro a ridefinire le basi su cui era sorto il Partito, con l’obiettivo di costruire un’alleanza con il centro e ricandidare la sinistra alla guida del paese. Il quarto saggio (inedito come il sesto) è dedicato all’Ulivo e, ancor prima della vittoria del ’96 e dei governi costituiti dopo la caduta di Prodi, affronta la nascita di un progetto che «si configurava come una proiezione politica di quella alleanza europeistica che […] aveva sostenuto il risanamento economico avviato dai governi Amato e Ciampi» (p. 78). Il quinto saggio tratta del II Governo Berlusconi e descrive il fallimento di una coalizione che si rivela presto incapace di esprimere una linea chiara, dimostrandosi attenta più alle scelte di Bush che alla salvaguardia del rapporto con l’Europa. L’ultimo saggio affronta la crisi della destra e la nascita del «secondo Ulivo», diverso dal precedente sia nelle intenzioni di Prodi sia in quelle dei DS. Proprio dall’esito di questo processo dipenderanno le sorti del riformismo e i più ampi assetti della sinistra italiana.

Andrea Ricciardi