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Gli Altri del Risorgimento. Disertori, insubordinati e briganti nelle carte di un «difensore»

Giuseppe Zichi
Milano, FrancoAngeli, 288 pp., € 35,00

Anno di pubblicazione: 2016

Gli Altri del Risorgimento s’iscrive in quell’ormai ampio filone di libri tesi a evidenziare
i limiti del consenso al processo d’unificazione italiano. Rispetto a una produzione
che non di rado sfocia nella pamphlettistica per la forte carica ideologica e il modesto
livello scientifico, il lavoro di Zichi si distingue però in almeno due aspetti.
Da un lato, se ne apprezzano la prudenza nei giudizi e un impianto metodologico
nel complesso più solido, benché in parte indebolito da alcune sorprendenti lacune bibliografiche
(Del Negro, Mondini, Pischedda, la letteratura sulla giustizia militare, etc.),
dall’assenza (almeno esplicita) di una riflessione sui problemi connessi all’uso della memorialistica
e da una prospettiva che non si apre a comparazioni che sarebbero state utili
a meglio inquadrare tanto i grandi fenomeni connessi al Risorgimento e all’Unità quanto
le singole vicende narrate attraverso le carte Cugia.
Dall’altro, va senza dubbio a merito dell’a. l’aver recuperato un interessante corpus
di fonti, ossia appunto quelle dell’archivio Simon Guillot relative all’altrimenti anonimo
colonnello di fanteria Agostino Cugia da Alghero, reduce delle patrie battaglie e avvocato
militare. Si tratta di carte di varia natura e di diverso valore (arringhe, diari, corrispondenza,
etc.), ma comunque capaci di aprire un ulteriore squarcio su quel variegato universo di
protagonisti del Risorgimento loro malgrado, o quanto meno non mossi da indomito e convinto
patriottismo. E lo sono sia perché son documenti che coprono vari momenti della fase
risorgimentale e immediatamente postrisorgimentale (da Novara alla Crimea, sino alla campagna
in Sicilia del 1862); sia perché lo fanno offrendo su questi avvenimenti e sulle persone
coinvolte la peculiare prospettiva di chi – come Cugia – era chiamato non solo a operare sul
terreno propriamente militare, ma pure a svolgere un ruolo di garanzia nei meccanismi della
giustizia con le stellette, in qualità di difensore dei militi sottoposti a processo.
È in sostanza su questo sfondo che Zichi costruisce il suo discorso, e di cui anzi
tutta la prima parte del volume costituisce una sorta di lunga introduzione che parte da
una riflessione su giovani e Risorgimento e poi affronta sinteticamente (e a volte un po’
semplicisticamente) grandi temi quali il volontariato nella I guerra d’Indipendenza, la
partecipazione piemontese alla guerra di Crimea, le riforme ordinamentali lamarmoriane,
la criminalità in seno alle forze armate, il brigantaggio, i rapporti fra soldati-cittadinanza
e altri ancora.
Ne viene fuori un quadro privo di significative novità interpretative ma chiaro e
soprattutto scevro tanto di agiografie quanto di demonizzazioni, nonostante un titolo di
sezione come La condanna dell’Unità. Un testo che, rendendo da una prospettiva particolare
il senso di un’Unità vissuta «come un processo dall’alto» (p. 9) sia da chi la combatté
armi in pugno sia pure da alcuni dei suoi stessi fautori materiali, di fatto assolve in
maniera adeguata al suo compito introduttivo rispetto alla selezione di documenti che
costituisce la seconda, più corposa, parte del libro

 Marco Rovinello