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Gli altri. Fascismo repubblicano e comunità nel Torinese (1943-1945)

Nicola Adduci
FrancoAngeli

Anno di pubblicazione: 2014

Il libro ricostruisce le vicende del Partito fascista repubblicano a Torino, restituendo
la rete di protagonisti, avvenimenti e relazioni che scandirono il periodo della Rsi nel
capoluogo piemontese. Sulla base di una consistente massa di documenti a stampa e
d’archivio, l’a. presenta la catena di fatti che, dall’estate del 1943 fino alle settimane suc-
cessive alla fine del conflitto, coinvolsero apparati dello Stato, formazioni fasciste e truppe
tedesche nell’opera di repressione delle bande partigiane, di controllo della produzione
industriale e di governo della popolazione. Il punto di osservazione privilegiato dall’a.
permette di considerare le origini, le trasformazioni e gli esiti della crescente estraneità
maturata tra il fascismo repubblicano e la «comunità» torinese. Le diverse componenti del
fascismo (i «fascismi paralleli», p. 50) furono caratterizzate da un persistente distacco dalla
realtà che condizionò pesantemente la percezione degli sviluppi della situazione locale e
le strategie di intervento sul territorio, rendendo impossibile la costruzione di un’area di
consenso verso la repubblica di Mussolini.
A Torino, i «superstiti» del fascismo non furono in grado di riconoscere la «sogget-
tività della comunità» (emersa in modo spontaneo già durante le manifestazioni seguite
all’arresto di Mussolini) e furono incapaci di cogliere le ragioni della «moralità comunita-
ria» prevalente in città e, ancor più, nelle campagne e vallate circostanti (p. 25). La scelta
del terrore per contrastare le formazioni partigiane aveva per i fascisti motivi strategici
ma la contropartita fu l’irreversibile frattura con le comunità locali: per gran parte della
popolazione, la demonizzazione dei tedeschi che presidiavano violentemente il territorio
si unì al discredito verso gli apparati statali e all’avversione verso i fascisti, considerati alla
stregua di «stranieri». I fascisti («gli altri» evocati nel titolo) si trincerarono nel loro isola-
mento, scontando sia l’impreparazione militare e politica, sia i numerosi conflitti interni,
indagati con precisione nel loro dispiegarsi, esplodere e ricomporsi.
La coscienza collettiva della necessità di garantire la sopravvivenza della comuni-
tà spiega la copertura assicurata dalle popolazioni alle formazioni partigiane, l’azione di
mediazione compiuta dalla Chiesa e l’atteggiamento ambivalente dei grandi industriali,
come pure la durezza delle violenze fasciste e nazionalsocialiste e la lunga scia di omicidi
e ferimenti che accompagnò la fine del conflitto. La «guerra totale contro la comunità»
(p. 225) nei venti mesi della Rsi rafforzò paradossalmente la coesione sociale durante la
disgregazione delle strutture dello Stato ma non annullò le differenze presenti nella so-
cietà torinese. Le diverse scelte compiute di fronte «agli altri» ormai sconfitti (vendetta,
clemenza, ritorno alla normalità o continuazione della lotta) confermarono quanto la
comunità non avesse una natura monolitica e come le differenze sociali, culturali e poli-
tiche non fossero state cancellate dalla guerra, ma si ripresentassero sulla scena pubblica
– mutate e rafforzate – all’indomani della Liberazione.

Marta Margotti