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Gli impiegati della Fiat dal 1955 al 1999. Un percorso nella memoria

Boris Pesce
Milano, FrancoAngeli, 196 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2015

orale: affiancando fonti d’archivio e fonti orali, prova a intessere un dialogo tra sogget- tività e memoria collettiva. Pesce studia le statistiche sulla composizione della forza lavoro e la rivista aziendale «Il giornale dei capi» («Fiat quadri» dal marzo 1980) e collabora con Ugaf-Unione gruppo anziani e «Illustrato Fiat» per individuare i testimoni. Costruisce così un campione polifonico di 59 videointerviste, differenziato per generazione, funzio- ne, gerarchia e genere (anche se le donne sono solo 15). Proprio l’attenzione al lavoro fem- minile è uno degli elementi più interessanti del volume: le «signorine» restituiscono uno sguardo nuovo (anche se non inedito grazie a precedenti lavori, in particolare di Filippa e Passerini) sulle condizioni e l’organizzazione del lavoro in Fiat tra 1950 e 1999. Molto efficaci i passaggi in cui l’a. lascia la parola alle impiegate, che ricostruiscono la cultura del lavoro in Fiat: «Le cape ufficio erano tutte tremende, delle bamboline» (p. 24), «Nessuna camicia colorata, solo il grembiule nero, il ragioniere ci controllava tutte andando avanti e indietro, segnavano tutti i tempi sul quadernino. Nessun rapporto, come in caserma, la capa era una suora impiegata» (p. 25), «Le donne erano ritenute inferiori, più assenteiste, meno disponibili» (p. 153), «Come a scuola, tutto di nascosto, avevamo fame e non si poteva uscire, una volta avevamo dei formaggini, avevamo calcolato di mangiarli quando si girava il sorvegliante ma sono finiti sulla macchina da scrivere. Comunque le donne arrivavano al massimo al 6 livello» (p. 166), «Noi non potevamo fumare in ufficio, gli uomini sì, e allora andavi ai servizi» (p. 175).
Le interviste offrono spunti anche su altri temi, in particolare su cassa integrazione, su informatizzazione e trasformazione del lavoro, sulla marcia dei quarantamila (definita la «fiumana»), su buste in nero, controlli e rapporto operai impiegati. L’a. avrebbe potuto sviluppare maggiormente le potenzialità delle testimonianze (e sul tema specifico della me- moria di genere forse avrebbe potuto evitare alcune banalizzazioni nelle conclusioni) ma purtroppo non sempre riesce a liberarsi da uno stile quantitativo nell’approcciare le storie di vita: i due capitoli sulle ricorrenze tematiche soffrono di uno scarso approfondimento rifles- sivo. Si tratta di un approccio che rischia di appiattire la tridimensionalità delle fonti orali, caratterizzate dalla forma dialogica e narrativa (Alessandro Portelli, Storie orali. Racconto, immaginazione, dialogo, Roma, Donzelli, 2007, pp. 5-24 e pp. 75-94), aspetto invece ben valorizzato nel capitolo Biografie e carriere, percorsi tipici e atipici e nella bella appendice in cui propone in extenso nove interviste con una breve scheda biografica.
Interessanti, infine, alcune suggestioni sul lavoro dell’oralista in merito ai temi del rapporto con la committenza (p. 28), della restituzione ai testimoni (p. 36) e della pre- sentazione dei tempi e dei modi della ricerca (p. 80), che sono da tempo al centro della riflessione di chi pratica la storia orale (Buone pratiche di storia orale di Aiso-Associazione italiana di storia orale).