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Gli «scemi di guerra». I militari ricoverati al manicomio di Ancona durante la Grande Guerra

Maria Grazia Salonna
Ancona, affinità elettive, 226 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2015

Due circostanze, l’una documentaria l’altra biografica, presiedono alla genesi della ricerca. Da un lato, nell’ambito del progetto «Carte da legare» della Direzione generale per gli archivi del Ministero dei beni culturali, la lodevole opera di riordino e conservazione dei fondi storici del manicomio dorico realizzato dal locale Archivio di Stato. Dall’altro, il ricordo dell’a. – docente di storia e d’italiano – di uno zio «tornato dalla guerra smarrito, con lo sguardo perso […]» (p. 12).
I capitoli e i singoli paragrafi del contributo offrono una struttura narrativa fissa, che si reitera in maniera analoga: a una coincisa premessa a mo’ di cornice tematica, sovente fin troppo sintetica, segue lo scavo archivistico propriamente detto, indirizzato «ad aprire un varco nella conoscenza dell’universo esistenziale dei militari rinchiusi, attraverso le tappe frammentarie della loro carriera sanitaria», e la rammemorazione di «canovacci di vite, in cui la trama e l’ordito risultano sfilacciati e pieni di buchi» (p. 195).
È questo secondo segmento dell’indagine a offrire le pagine inedite e migliori. L’a., oltre a richiamare meritevolmente l’attenzione degli studiosi sulla figura di Gustavo Mo- dena, direttore del frenocomio e «medico attento e curioso delle novità della sua epoca» (p. 200), arricchisce la bibliografia (rigogliosa negli ultimi tempi) di un nuovo importante caso di studio, rendendo giustizia, con l’esame certosino delle cartelle cliniche, al sacrifi- cio di decine e decine di vite annientate dal conflitto, derubate di ogni avvenire allora (p. 147), e ignorate dalla pompa celebrativa oggi.
Detto dei pregi, credo, al contrario, che il volume mostri punti deboli laddove l’a., abbandonato il porto sicuro della documentazione medica, si avventura nell’interpreta- zione globale dell’evento guerra e delle contestuali pazzie. Acriticamente, come da vulgata storiografica imperante, in tema di genesi del disturbo adotta un lineare automatismo fat- ti d’arme cruenti/follia non solo insostenibile come chiave esplicativa omnicomprensiva, ma scoglio interpretativo per gli studiosi da inquadrare preliminarmente sia al cospetto del dato per cui migliaia di soldati esperirono la legge e il linguaggio della violenza (Leed) senza cadere vittime del manicomio – constatazione che pesò inevitabilmente nelle dia- gnosi alienistiche – sia alla luce delle consolidate categorie nosografiche di quella stessa psichiatria, pena il rischio di fraintenderne teorie, prassi asilari e contraddizioni.
A ciò si aggiunga, infine, che a una scienza delle malattie mentali deproblematizzata dei suoi distinguo ed espropriata del fardello dell’immane sfida a cui fu obbligata nel tempo bellico – sfida sprovvista di precedenti: il monotono ricorso esemplificativo alle vicende del conflitto russo-giapponese ha un rilievo più letterario che storiografico – corrisponde un mondo militare ritratto ideologicamente, per mezzo di stereotipi vetusti soprattutto quando si discorre dell’ufficialità.

Andrea Scartabellati