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Guido Bonsaver – Censorship and literature in fascist Italy – 2007

Guido Bonsaver
Toronto-Buffalo-London, Toronto University Press, XIV-405 pp., Euro 37,85

Anno di pubblicazione: 2007

La censura fascista è il luogo del compromesso tra il regime e la pluralità degli attori in gioco nella sfera della comunicazione culturale. Muove da questa consapevolezza il lavoro di Guido Bonsaver. Uno scandaglio approfondito di fonti d’archivio, testimonianze personali, opere letterarie.Sebbene limitato all’ambito della letteratura, lo studio dell’apparato di controllo e di autorizzazione della produzione libraria costituisce l’occasione per la formulazione di un’ipotesi generale sulle relazioni tra cultura e Stato nell’Italia mussoliniana. La censura infatti, prima di essere, un congegno dell’amministrazione è un insieme di pratiche negoziali che coinvolge editori, autori, funzionari governativi, il Partito fascista, in una trama fittissima di rapporti. Su tutto, la figura del capo, il suo imperscrutabile volere, oggetto di adempimenti zelanti, ma anche di interpretazioni e fraintendimenti. Da qui una situazione complessa e sfuggente, nella quale diventa decisiva la capacità degli autori e dei loro editori di sapersi orientare nei meandri del sistema di potere fascista. Se da un lato il regime fascista ambisce a diventare il regolatore della sfera della comunicazione culturale, dall’altro il linguaggio totalitario funziona come un vasto campo di opportunità aperto a quanti si dimostrano in grado di padroneggiarne le parole.Non solo la macchina della censura si costruisce lungo tutto il ventennio, passando attraverso fasi differenti, che l’a. puntualmente ricostruisce, ma il suo funzionamento non risponde ad una logica di ferrea centralizzazione. «Fascist censorship – osserva l’a. – was not a monolithic and tightly coordinated machine of repression [?] The many officials involved in the censorship process – prefects, ministers, Mussolini himself, neither shared precisely the same perspective nor imposed their belief with consistency» (p. 5).Seguendo questa sottile linea ermeneutica, Bonsaver scandaglia un vasto deposito documentario che verifica alla luce di casi personali, da Bompiani a Mondadori al giovane Einaudi e insieme Massimo Bontempelli, Elio Vittorini, Alberto Moravia, fino alle scrittrici Gianna Manzini, Alba de Céspedes e Paola Masino. Molto interessante è la parte dedicata alla «bonifica libraria» e alla legislazione anti-semita. Anche in questo caso, la censura conserva i suoi tratti negoziali. Sia che si pensi a De Felice e al suo giudizio sulla «faciloneria mussoliniana», sia che si metta l’accento sulla feroce determinazione della persecuzione razzista. Facendo tesoro del lavoro di Giorgio Fabre, Bonsaver ne attenua tuttavia le conclusioni: «Within the field of censorship, if traces of anti-Semitism can be found in the earlier years of Fascist Italy [?] there is little doubt that the sudden racist turn of 1938 created a huge amount of unplanned work for the cultural ministries» (p. 264).Il lavoro di Bonsaver è ricchissimo di spunti, di informazioni inedite, e di notevole interesse sul piano della ricostruzione storiografica.

Adolfo Scotto di Luzio