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I comunisti italiani e la sinistra europea. Il Pci e i rapporti con le socialdemocrazie (1964-1984)

Michele Di Donato
Roma, Carocci, 295 pp., € 32,00

Anno di pubblicazione: 2015

Il volume affronta uno dei nodi cruciali della storia del Pci dagli anni ’60 agli ’80,
inserendosi in quell’ambito di ricerca che, negli ultimi anni, si è occupato della dimensione
internazionale della storia dei partiti. Dopo un periodo di dialogo riservato durante
gli anni di Longo, i rapporti con i partiti dell’Internazionale socialista (Is) si inserirono a
pieno titolo nella «politica estera» di Berlinguer.
Uno dei nodi principali del volume è costituito dall’analisi delle relazioni tra Pci
e Spd, fortemente condizionate sia dallo scetticismo di alcuni settori della seconda nei
confronti del primo, sia dall’ostilità dei compagni della Rdt che, similmente ai comunisti
francesi, vedevano nella volontà di dialogo di Botteghe oscure un tentativo di scavalcare
i rapporti fraterni.
Il caso francese avrebbe forse meritato un rilievo ulteriore, vista la peculiare relazione
tra il Pci e il Partito di Marchais, storicamente radicata e rilanciata nel progetto
eurocomunista. Ad ogni modo, mentre questa – in parte – era una storia già ricostruita,
di particolare interesse pare essere lo sviluppo delle relazioni con le forze di sinistra di
Svezia e Gran Bretagna. I rapporti con Palme sono, in questo senso, paradigmatici sotto
due profili. Innanzitutto, per la modalità di «avvicinamento» tra i partiti: un dialogo che
passò prima mediante il veicolo culturale, per poi affermarsi come confronto politico,
anticipando un modus operandi che il Pci applicò al rapporto con alcuni ambienti liberal
americani nella seconda metà degli anni ’70. In secondo luogo, per i limiti all’interazione
tra i due attori politici, che – pur con qualche variazione – possono essere applicati anche
alle relazioni con gli altri partiti dell’Is: lo scetticismo, da parte delle forze socialdemocratiche,
nei confronti del progetto eurocomunista, da un lato; e dall’altro, il reiterarsi di
alcuni schemi interpretativi intorno all’esperienze socialdemocratiche, da parte del Pci.
Di uguale interesse appare il dialogo con il Labour, anch’esso però condizionato dalla
divisione in seno al Partito stesso, in parte votato al contrasto all’eurocomunismo. Tuttavia,
nel momento in cui parevano delinearsi le condizioni per lo sviluppo di un dialogo
efficace con i membri dell’Is, la guerra fredda tornò d’attualità, rivelando tutta l’effimerità
della visione berlingueriana, fondata sulla concezione dinamica della distensione.
Pur scontando il limite di un circoscritto riferimento alla necessità di Botteghe oscure
di mantenere un rapporto con il Cremlino, necessario per comprendere appieno la
valenza delle relazioni con le socialdemocrazie europee, I comunisti italiani e la sinistra
europea è certamente un libro analiticamente documentato, preciso e puntuale nella lettura
storica, equilibrato nell’interpretazione, che ha – tra l’altro – il pregio di combinare lo
studio della politica internazionale del Pci con una approfondita conoscenza della storia
interna del Partito.

 Valentine Lomellini