Cerca

I mizrahim in Israele. La storia degli ebrei dei paesi islamici (1948-77)

Claudia De Martino
Roma, Carocci, 214 pp., € 23,00

Anno di pubblicazione: 2015

Il volume ricostruisce la storia dell’immigrazione in Israele dei mizrahim [gli orientali],
vale a dire gli ebrei provenienti dai paesi islamici, che una parte della storiografia
più recente (cfr. Yehuda Shenhav, The Arab Jews: A Postcolonial Reading of Nationalism,
Religion and Ethnicity, 2006) preferisce in realtà chiamare «ebrei arabi».
Sebbene già nel primo decennio del ’900 alcune migliaia di ebrei provenienti dallo
Yemen e da Aden fossero giunte nella Palestina mandataria, fu solo con la nascita dello
Stato di Israele che si registrò un’immigrazione di massa. L’a. individua giustamente gli
estremi storici della sua narrazione. La nascita dello Stato ebraico segnò infatti l’inizio
delle ondate migratorie dai paesi arabi, tanto che nel giro di due decenni giunsero in Israele
poco meno di 600.000 «ebrei arabi». De Martino si pone correttamente in linea con
quella storiografia che attribuisce la decisione di partire a un insieme di cause, dal clima
di crescente ostilità antiebraica che si respirava nei paesi arabi dopo la guerra del 1948,
alle politiche discriminatorie applicate da alcuni di questi governi, alle pressioni del governo
israeliano perché queste comunità giungessero in Israele contribuendo allo sviluppo
demografico-economico del paese. Il 1977, allorché si tennero le elezioni politiche che
videro la sconfitta dei partiti della sinistra sionista e la vittoria della destra, sostenuta dalla
stragrande maggioranza degli «ebrei arabi», rappresenta invece il corretto termine ad quem
perché tale evento segnò l’arrivo al governo – seppur non alla poltrona di primo ministro
– di un gruppo fino ad allora marginalizzato.
In cinque capitoli che scandiscono le varie fasi della migrazione dei mizrahim – dalle
partenze, alle prime accoglienze, alla sistemazione, all’inserimento nel mondo economico,
politico e culturale israeliano, al «sorpasso demografico» (p. 153) – De Martino ricostruisce
approfonditamente le loro vicende, sottolineando le discriminazioni di cui furono vittime
da un punto di vista legislativo, ma soprattutto in termini culturali. L’orientalismo con
cui l’élite ashkenazita guardò agli «ebrei arabi» – letti come un unico gruppo, i mizrahim
appunto, sebbene molto diversi fossero gli ebrei iracheni dagli yemeniti, dai marocchini
– influenzò molto negativamente il processo della loro integrazione, come testimoniano
le rivolte avvenute nel quartiere Wadi Salib a Haifa nel 1959 e quelle delle cosiddette
Pantere nere a Gerusalemme nei primi anni ’70. Particolarmente riuscita la parte in cui
l’a., utilizzando «testimonianze “dal basso”» (p. 71), dà direttamente voce ai mizrahim e
mette in luce il prezzo pagato dalla stragrande maggioranza di questi immigrati, costretti
a rinunciare al loro background culturale per aderire a quello dell’ebraismo ashkenazita,
ritenuto più civilizzato e «moderno».
Qualche refuso di troppo, uno stile non sempre lineare e l’assenza dell’indice dei
nomi non intaccano la sostanziale validità del volume, che ha il principale merito di fornire
al lettore italiano un inquadramento sintetico ma non superficiale di una pagina
centrale della storia dello Stato di Israele.

 Arturo Marzano