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Idith Zertal – Israele e la Shoah. La nazione e il culto della tragedia – 2007

Idith Zertal
Torino, Einaudi, XV-254 pp., Euro 22,00 (ed. or. Tel Aviv, 2002)

Anno di pubblicazione: 2007

Per l’Ernst Cassirer del Saggio sull’uomo il racconto mitico è una forma autonoma di interpretazione della realtà. Le sue funzioni sono molteplici, promuovendo la solidarietà tra individui, ratificando la vicinanza fisica e la condivisione del medesimo orizzonte esistenziale intesi come una sorta di comunità di destino. In questo la mitografia non è necessariamente alternativa all’esercizio storiografico. Semplicemente l’una e l’altro occupano due campi diversi ma non contrapposti, semmai a tratti complementari. La mitografia si alimenta di un grado di elevata «attualizzazione» dei trascorsi, in virtù della plasticità con la quale li può ricostruire, adattandoli al presente. Tale funzione è tanto più potente nel momento in cui viene attivata nell’esercizio della costruzione di una identità nazionale. Quest’ultima, infatti, proprio perché proiettata nel «qui ed ora», eternizza il presente attraverso il racconto delle origini, ossia la «dolce finzione» delle fondamenta immutabili che, nel loro persistere e reiterarsi attraverso lo spirito collettivo, garantiscono l’incrollabilità dell’edificio nazionale. Israele è un formidabile prisma attraverso il quale leggere lo spessore dell’artificio culturale che si cela dietro il discorso nazionalista nel ‘900. Non per questo quel paese è meno vero. Semmai, in ciò facendo, rinnova il suo carattere laboratoriale, dove in vitro si è interamente consumato quel che altrimenti è riconoscibile solo in forme frammentate ed episodiche. Il libro di Idith Zertal ci introduce ai diversi modi attraverso i quali ha preso forma la dimensione della tragedia nella coscienza di sé degli israeliani, aiutandoci così nell’identificazione della funzione mitopoietica nella razionalità quotidiana. È quindi un viaggio attraverso la reificazione del passato, la sua traslazione epica. In tal senso esiste una dialettica irrisolta tra la costruzione dell’identità nazionale e arruolamento dei morti nelle file dei vivi. Per meglio dire, c’è un nesso diretto tra le «magnifiche sconfitte» che costellano la storia dei risorgimenti nazionali, di cui la nascita d’Israele è parte, e la costituzione di una cittadinanza inclusiva. Questa è tale se incorpora non solo le generazioni presenti e future ma anche e soprattutto quelle trascorse. Il binomio istitutivo dell’israelianità è quello che intercorre tra distruzione e redenzione, ovvero tra catastrofe e rinascita. Lo spirito pionieristico, estrinsecando l’intenzione sionista in un progetto fondato su un nuovo legame tra spazio e tempo, tra deserto e «uomo nuovo», incorpora l’assenza come elemento fondante: assenza di chi ci si è lasciati alle spalle, assenza come condizione dell’Esilio, assenza come mancanza di un interlocutore indigeno con il quale confrontarsi (i palestinesi). Da ciò deriva anche il ricorso postumo alla rappresentazione della Shoah come risorsa simbolica nei processi di legittimazione politica e il carattere di sacralità rivestito dalle vittime di quella «catastrofe». Un libro interessante, non privo però di quelle incrostazioni, petulanze e ingenue enfasi, che connotano la scrittura di parte dei cosiddetti «nuovi storici israeliani».

Claudio Vercelli