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Il berlusconismo nella storia d’Italia

Giovanni Orsina
Venezia, Marsilio, 240 pp., € 19,50

Anno di pubblicazione: 2013

A differenza della maggior parte dei libri usciti in questi ultimi anni sulla politica berlusconiana, di taglio principalmente giornalistico, questo interessante volume va in un’altra direzione. L’a. indaga il berlusconismo come un insieme di valori ideologici e lo inserisce intelligentemente nella storia dell’Italia post-unificazione, in linea con l’esperienza politica, sociale e culturale del qualunquismo, senza dimenticare come esso sia al contempo un fenomeno occidentale, parte di una più generale tendenza politica che ha contraddistinto parte delle democrazie negli ultimi decenni. In realtà, purtroppo, il volume non lascia grande spazio alla comparazione o all’analisi di eventi come il declino della sinistra europea nello spiegare la vittoria del magnate televisivo.
Orsina si concentra sulle motivazioni che hanno spinto milioni di elettori a votare per Berlusconi, soffermandosi in particolare sull’elettorato scettico della politica tradizionale e sulle destre marginalizzate dall’antifascismo, dal Pci e dal centrosinistra. Secondo l’a., il berlusconismo s’inserirebbe nel sistema politico come un liberalismo di destra, «lombardo», basato su una società, per certi versi, libera dallo Stato. Dell’elettorato di Berlusconi farebbero parte i neofascisti, sdoganati da Berlusconi e, per certi versi, integrati nell’alveo del repubblicanesimo. Se ciò è effettivamente avvenuto nel corso di questi decenni, il libro avrebbe forse potuto ricordare come sia rimasto ancora molto di «neofascista» nelle anime dei politici definiti moderati, se non addirittura liberali, e che i loro ammiccamenti a partiti di destra anti-immigrazione come il Front National confermino l’assenza di transizione verso il moderatismo da parte di una certa destra estrema italiana. Proprio le tendenze di destra di Berlusconi sono, a mio avviso, il motivo del suo appeal in quella fascia specifica di elettorato. E il richiamo, presente nel volume, a un popolo e a ideali liberali – seppur pertinente – appare a volte leggermente sovradimensionato, considerando l’ampiezza del voto al centrodestra e la fondamentale marginalità del liberalismo italiano.
In sintesi, Orsina guarda brillantemente all’evoluzione storica del berlusconismo, e il volume è da questo punto di vista utile e significativo. Resta, tuttavia, il dubbio sull’intento generale del libro, che «non intende cercar di capire quali obiettivi egli [Berlusconi] abbia perseguito, (…) se abbia governato bene o male» (p. 9). Si può davvero slegare un fenomeno politico dal suo agire concreto? Chi guarda l’Italia da lontano, osservando le dinamiche politiche di altre democrazie occidentali, avrebbe probabilmente preferito comprendere quale ruolo abbia avuto il clientelismo in alcune aree d’Italia; se lo Stato sia effettivamente migliorato durante i governi di centrodestra; se gli ideali politici non fossero superati dagli interessi personali e di bottega; se la differente moralità dei politici di quegli anni non sia stata effettivamente causa del declino attuale, della mancanza di prospettive e della perdita di credibilità internazionale. Forse limitare lo sguardo all’ideologia e al suo appeal non riesce davvero a dirci tutto.

Andrea Mammone