Cerca

Il burattinaio dell’ultimo Zar. Grigorij Rasputin

Marco Natalizi
Roma, Salerno Editrice, 219 pp., € 13,00

Anno di pubblicazione: 2016

Come afferma un libro uscito di recente in Francia: «Raspoutine est une fiction. […]
Un mythe fondé sur l’existence avérée d’un homme du même nom, Grigori Efimovitch
Raspoutine […] mais les intermittentes traces qu’il a laissées ne pèsent rien face à Raspoutine
». Dal che deriverebbe che un’opera su Rasputin «ne peut pretendre (et, de fait, l’ose
rarement) à l’objectivité, car chaque geste ou parole à fait d’emblée l’objet d’une interpretation
» (Alexandre Sumpf, Raspoutine, Paris, Perrin, 2016, pp. 7-8).
In effetti, il libro che Marco Natalizi dedica al rapporto fra Rasputin e Nicola II,
nel tormentato scenario della Russia alla vigilia della Rivoluzione, è più la storia di una
rappresentazione collettiva da parte della società russa del dramma della guerra e dell’incertezza
del futuro, della percezione di possibili intrighi e tradimenti per ipotecare negativamente
quel temuto futuro, di quanto non sia la storia del contadino profeta Grigorij
Efimovič Rasputin. Questi, in fondo, non esiste al di là dei racconti che ne accompagnano
il cammino da Pokrovskoe a San Pietroburgo, dell’uso che si pretende di farne, senza
che egli sembri sempre rendersene conto.
Rasputin condivide l’immagine che la coppia imperiale gli ha cucito addosso, di
legame fra monarchia e popolo, fra sovrano e nazione, ultimo argine alla disgregazione
di un rapporto che si pensa vitale per tenere salda la Russia. Molti supposero, e ancora
ritengono – erroneamente a mio giudizio – che l’influenza di Rasputin potesse spingere lo
zar a una pace separata con la Germania: di qui l’odio per il «monaco», visto come plagiatore
della debole coppia imperiale, come il burattinaio, che non sa di essere fin dall’inizio
egli stesso un burattino.
L’a. con grande perizia e capacità evocativa ricostruisce lo scenario dell’interpretazione
rasputiniana, fra immaginazione, esagerazione, manipolazione e forse realtà. Emerge
l’immagine di un mondo russo autoreferenziale, in cui è la destra reazionaria a credere di
doversi far carico della salvezza dell’Impero, eliminando il perturbante, quasi fosse Rasputin
il distruttore della Russia e non il «tranquilizzatore» di Nicola e Alessandra, prigionieri
della propria infelice dimensione familiare e di una corte e un paese che non credono in
loro e nelle loro capacità di restare al vertice.
Il libro è un buono studio, su una materia controversa, che cerca di tenere insieme
il momento generale e quello particolare non senza inevitabili equilibrismi. Si avverte
l’ottima conoscenza della storia russa che permette spesso all’a. con pochi tratti di tracciare
il più ampio quadro in cui si situano le minute e intricate vicende della costellazione
di attori che vanno considerati quando ci si occupi dell’affare Rasputin: i Romanov, la
corte e la società, la cerchia politica, gli ecclesiastici, la cerchia di Rasputin stesso. Va detto
che il libro non si basa su un nuovo lavoro d’archivio, bensì su un esame critico di una
bibliografia scelta. Ma il «commento più adatto» sembra proprio restare la frase detta da
un semplice soldato: «Già, in effetti c’è un contadino che è riuscito ad arrivare fino allo
zar, e i signori lo hanno ammazzato» (p. 181).

 Giulia Lami