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Il capo e la folla. La genesi della democrazia recitativa

Emilio Gentile
Roma-Bari, Laterza, XII-216 pp., € 19,00

Anno di pubblicazione: 2016

Pubblicato in una collana («i Robinson /Letture») che compendia temi rilevanti per
un pubblico non solo di specialisti, il volume affronta «i rapporti tra il capo e la folla in
situazioni democratiche» (p. VII). Si indagano i dilemmi intrinseci alle idee e alle pratiche
della democrazia, nel suo significato di «potere del popolo». Si muove dalla democrazia
greca e dai suoi interpreti, ripercorrendo a grandi e larghe vedute il tema delle folle fino a
Le Bon e Weber. Soprattutto si affrontano i secoli XIX e XX attraverso esemplari casi di
studio: Napoleone I e Napoleone III, Roosevelt e Churchill, John Kennedy e De Gaulle.
Furono del resto le Rivoluzioni americana e francese «che trasfigurarono l’informe volgo
dei sudditi nella nuova entità del popolo sovrano» (p. 96).
L’originalità del volume sta nell’interrogarsi sul paradosso della democrazia nell’era
delle masse, con il diverso manifestarsi del «diritto dei governati ad eleggere e revocare pacificamente
i propri governanti»; laddove troviamo «le più anti-democratiche esperienze
di potere personale di un capo» così come «i più strenui difensori della democrazia» (p.
125). È al regime personale di governo di Napoleone Bonaparte che si riconduce «la prima
esperienza della “democrazia recitativa”», vale a dire «formalmente democrazia, di fatto
governo del capo» (p. 126). È la categoria analitica che si adotta per tessere un filo tra le
diverse esperienze a essa successive; in primo luogo quella di Napoleone III. In entrambi i
casi si accenna ai plebisciti, su cui recenti studi hanno insistito, evidenziando pratiche, rituali
e linguaggi di una politica teatralizzata e «melodrammatica». Le Bon guardò proprio
a Napoleone scrivendo che «conoscere l’arte di impressionare l’immaginazione delle folle
vuol dire conoscere l’arte di governarle» (p. 153). Ma si dovrebbe attingere pure al classico
studio di Moisei Ostrogorski sulla politica e sulle elezioni statunitensi e anglosassoni nel
secondo ’800 (La démocratie et les partis politiques, 1902) per comprendere le origini del
fenomeno della spettacolarizzazione e della personalizzazione.
Passioni ed emozioni politiche animarono le rappresentazioni demagogiche della
democrazia nel corso del XX secolo. Se già «governanti democratici» come Roosevelt e
Churchill avevano contrastato il totalitarismo nazi-fascista cercando un rapporto diretto
con le masse, nel corso degli anni ’60 Kennedy e De Gaulle – «democratici e demagoghi»
(p. 177), «capi di folle democratiche» (p. 195) – lo avrebbero fatto nei confronti del totalitarismo
sovietico. Già allora il politologo Duverger osservò una «democrazia mediatizzata
»; il sociologo Manin ha prospettato l’avvento di una «democrazia del pubblico» (con
al centro gli individui e non più le ideologie). Se occorrerà verificare fino a che punto si
possano tenere insieme processi e contesti assai differenziati attraverso la categoria della
«democrazia recitativa» (dove i protagonisti del copione sono il capo onnipotente e la
folla acclamante), essa tuttavia contiene fattori tali di suggestione e di interesse analitico
da rendere questo volume degno di un sicuro apprezzamento.

Maurizio Ridolfi