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Il Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione interna (1930-1940). Per una storia della politica migratoria del fascismo

Stefano Gallo
Foligno, Editoriale Umbra, 222 pp., € 12,00

Anno di pubblicazione: 2015

Quando, dal 1924 in poi, si chiusero per sempre gli sbocchi all’emigrazione estera, il regime fascista tentò di mascherarne lo shock con l’attribuirsene l’iniziativa, attingendo alla retorica antiemigratoria di stampo nazionalista. Ma, a ben guardare, propaganda e politica furono lungi dal coincidere e, per compensare la perdita di quella risorsa, venne istituito nel 1930 il Commissariato per le migrazioni e la colonizzazione interna (Cmci), cui è dedicato questo lavoro, che ambisce a discostarsi da una storiografia consolidata presso la quale il discredito del fascismo ha talvolta finito per occultare realtà più complesse.
In sostanza, l’a. imputa ai suoi predecessori – complice la scarsità di studi sulle isti- tuzioni agrarie – di aver anteposto la eterogeneità di mete e soggetti coinvolti e l’enfasi del regime sulla cosiddetta sbracciantizzazione, alle migrazioni statali, che «raramente sono state affrontate dal punto di vista della gestione della disoccupazione» (p. 9). E lo stesso, indimenticato, lavoro di Anna Treves ha risentito tanto della cultura «urbanocentrica» degli anni ’70 quanto della carenza, all’epoca, di fonti specifiche.
A segnare una svolta, il reperimento, in anni recentissimi, dell’archivio del Cmci tra le carte della Presidenza del Consiglio conservate all’Archivio Centrale dello Stato, e inventariato da Stefano Gallo. Al quale questo fondo ha consentito di evidenziare vari elementi di novità, quali la continuità del Cmci col giolittiano Commissariato generale per l’emigrazione, soppresso nel 1927, ma soprattutto l’istituzione di un ente pubblico a mo’ di argine alla crisi del 1929, destinato cioè – al pari di quanto avvenne nei regimi democratici coevi – a far fronte alla disoccupazione di massa mediante il controllo di una quota preponderante del mercato del lavoro agricolo.
Questa visione panoramica del problema fu dovuta, fino alla morte precoce nel 1935, al Commissario Luigi Razza, proveniente dalle file del sindacalismo rivoluzionario. Grazie alla sua infaticabile iniziativa, le competenze del Cmci investirono «le campagne paludose e malariche italiane, dalla Sardegna all’Agro Pontino, le coste della Libia, le isole della Dalmazia, il corno d’Africa, le nuove città e i nuovi quartieri realizzati dal fascismo» (p. 15). Tra i quali ultimi va ricordato l’odierno Eur, uno dei maggiori quartieri residen- ziali della Roma postbellica. I risultati di tale politica furono diversificati e nel complesso modesti, più consistenti in Libia, molto meno in Etiopia e piuttosto confusi nelle zone di bonifica, dove le autorità locali ebbero spesso la meglio.
Dopo aver conferito una nuova organicità agli sparsi tasselli della mobilità italiana del decennio prebellico, Gallo evita conclusioni troppo impegnative, senza però cedere a tentazioni liquidatorie. La mediocrità degli esiti – suggerisce tra le righe – non può pre- scindere dalla rilevanza del progetto né dalle dimensioni della crisi.

Andreina De Clementi