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Il curricolo «razziale». La costruzione dell’alterità di razza e coloniale nella scuola italiana

Gianluca Gabrielli
Macerata, Eum, 233 pp., € 17,50

Anno di pubblicazione: 2015

Fin dalla prima metà dell’800 alcuni libri di testo scolastici parlavano – prima in
maniera velata poi sempre più chiara – delle differenze di razza esistenti nel mondo. L’a.
sottolinea come ciò avvenisse già prima che l’Italia (esistesse e) avesse mire espansionistiche,
nonché prima che i programmi ministeriali dirigessero l’istruzione imponendo lo
studio delle razze.
Esempio interessante è il «Giannetto», un classico della scuola primaria dell’800,
manuale «ad uso de’ fanciulli e del popolo», che l’a. considera espressione dello spirito del
tempo. Siamo negli anni ’30 dell’800 e l’autore, Luigi Alessandro Parravicini, spiegava ai
fanciulli l’esistenza di una chiara gerarchia di civiltà, di una «varietà» di popolazioni. Lo
stesso Parravicini portò in Italia il racconto I negri e il libro, una storiella di origini ben
precedenti, che era volta a spiegare l’inferiorità degli africani e giustificarne lo sfruttamento
sulla base dell’idea che essi avrebbero preferito l’oro alla scrittura: un racconto destinato
lungo gli anni a enorme successo grazie alla riproduzione in numerosi testi scolastici della
penisola, che l’a. elenca con attenzione.
Gabrielli segue l’evoluzione di questo curricolo razziale nel tempo, dall’età liberale,
con l’apogeo del positivismo e le imprese coloniali, attraverso le vicende dell’istruzione
fascista – che intendeva realizzare un controllo totalitario sulle giovani generazioni – fino
all’eredità di questi stereotipi razziali in età repubblicana, adottando un’interpretazione
basata sulla continuità. Il focus è sull’immagine del nero e sul problema coloniale, ma alcune
pagine sono dedicate agli stereotipi antisemiti nell’analisi del periodo fascista. L’immagine
dell’alterità è stata dunque soprattutto un’immagine razziale, elemento funzionale
al rafforzamento dell’identità nazionale.
In sostanza, due sono i tipi di fonte su cui il volume si concentra: i programmi ministeriali
e i testi scolastici, con una particolare attenzione ai libri di geografia antropica
(è forse la parte più ricca del libro). La scelta è quella di analizzare questi tipi di fonti
separatamente (con vaste citazioni), piuttosto che costruire un intreccio tra di esse. Forse
avrebbe giovato intrecciare i vari tipi di fonte e proporre una lettura basata su una cronologia
unica. Ciò avrebbe forse aiutato a far dialogare di più la ricerca sulla scuola con la
storia delle discipline (a livello scientifico) coinvolte nel discorso razziale tra ’800 e ’900:
la biologia, la geografia, la demografia, l’antropologia. In questa direzione, studi di autori
come Sòrgoni, Mantovani o Cassata avrebbero aiutato ad allargare la visuale. L’a. nota
infine opportunamente che gli studiosi della scuola che vorranno arricchire il quadro
dovranno aprirsi a prospettive comparatistiche.
Il lettore, anche non specializzato, troverà in questo volume molte interessanti informazioni,
che l’a. ha raccolto nella convinzione che la scuola sia un oggetto di studio
imprescindibile per capire la storia del razzismo.

Olindo De Napoli