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Il nazionalismo ai tempi di Fidel Castro. Rivoluzione, Stato, socialismo

Italia Maria Cannataro
Soveria Mannelli, Rubbettino, 147 pp., € 16,00

Anno di pubblicazione: 2015

Il lavoro propone, lungo un esteso arco temporale che va dalla nascita della Repubblica
nel 1902 all’allontanamento dal potere di Fidel Castro all’alba del nuovo millennio,
un doppio versante d’indagine.
Da un lato, come la storiografia cubana degli storici professionisti si sia rapportata
al regime; dall’altro, come il regime stesso abbia ricostruito, riletto, e dotato di nuovi
significati la storia precedente alla rivoluzione, in funzione dei suoi stessi bisogni di legittimazione.
Il volume utilizza poche fonti primarie ma si nutre di una bibliografia ampia.
Si tratta di una storia della storiografia di carattere essenzialmente politico (l’a. è ricercatrice
in storia delle dottrine politiche, per l’appunto) che sceglie deliberatamente una rosa
ristretta di categorie d’analisi attraverso cui guidare per mano il lettore. Parole chiave sono
dunque: identità nazionale, repubblica, socialismo, e, naturalmente, rivoluzione.
Nucleo tematico predominante relativamente alla storia del primo ’900 rimane
l’ambivalente debito di liberazione nei confronti della potenza statunitense in seguito alla
guerra del 1898, su cui si confrontano diverse generazioni di storici (Le Riverend, Roig
de Leuchsenring, Guerra), inserita in una riflessione di carattere più generale sull’essenza
della nazione cubana, un laboratorio di meticciaggio per eccellenza, definita dall’etnologo
Fernando Ortíz non come «una realtà sintetica già nota e formata» bensì «un concetto
vitale in costante trasformazione» (p. 61). La variegata e plurale identità etnica, declinata
nella questione razziale, costituisce un nodo cruciale e trasversale per il nazionalismo cubano,
«nelle sue versioni liberale, cattolico e comunista» (ibid.). Gli anni ’20-’50 vedranno
infatti la comparsa del socialismo in una pluralità ideologico-culturale ancora garantita
da spazi di riflessione collettiva come le riviste «Origen» o «Bohemia». Il dibattito, con
l’avvento del Líder Máximo, finirà inevitabilmente per essere veicolato in pochi luoghi,
come la Casa de las Américas, e limitato a pochi temi riconducibili a: la Rivoluzione.
Nel panorama politico e intellettuale degli anni ’60 si fa quasi inestricabile la relazione
tra Castro e gli storici, incapaci, secondo l’a., di prendere le distanze dall’interpretazione
castrista «della storia di Cuba come storia delle rivoluzioni» (p. 90), laddove l’intera
comunità nazionale veniva identificata nella triade nazione-rivoluzione-socialismo. Con
uno stile molto denso, che crea talvolta alcune difficoltà nella lettura, Cannataro finisce
per sottolineare come questa triade divenga entità centrale nella riformulazione storiografica
della traiettoria cubana in seguito al successo castrista.
Conclude infine con una serie di riflessioni sugli ultimi due decenni, lasciando aperti
diversi interrogativi sul tema della governabilità, non solo interna all’isola, ma anche e
soprattutto esterna, dati i poderosi mutamenti nelle relazioni interamericane che ad oggi
stanno avendo luogo, in grado forse di sancire potenzialmente la fine di un imperante e
diffuso sentimento anti-yankee.

Benedetta Calandra