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Il partito provvisorio. Storia del Psiup nel lungo Sessantotto italiano

Aldo Agosti
Roma- Bari, Laterza, 285 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2013

Aldo Agosti ha cercato di ovviare, con questo libro, a quella che egli stesso definisce
una sorta di damnatio memoriae nei confronti della breve vicenda del Psiup (1964-1972),
quasi a esorcizzare l’esito infelice di una delle numerose scissioni che hanno costellato la
storia del socialismo italiano. Lo fa ricorrendo alle carte del partito, depositate presso la
Fondazione Gramsci, esaminandone i vari aspetti (politici, sociali, culturali, internazionali),
anche nei risvolti più scabrosi e noti (i finanziamenti sovietici e l’ambiguità nelle relazioni
con il «partito-guida», come emerse con chiarezza nella posizione presa sulla «primavera
di Praga» e la seguente invasione della Cecoslovacchia), accettando la definizione
che ne diede nel dicembre 1968 sull’ «Avanti!» Gaetano Arfè: un «partito provvisorio»,
sospeso tra l’ambizione di poter essere il fulcro della ricostituzione della sinistra operaia
nel suo complesso e l’aspirazione a rappresentare, nella stagione del centro-sinistra, una
parte della storia della sinistra italiana, il socialismo di sinistra, classista, ma libertario
e legato ad alcune istanze del sindacato. Nei fatti, non riuscì l’amalgama tra gruppi e
personalità diverse tra loro (filosovietici, sindacalisti come Foa, il gruppo di Lelio Basso,
un gruppo di dirigenti del Psi legati a Morandi come Vecchietti e Valori, «cani sciolti»
come Lucio Libertini), come dimostrarono i rapporti, non sempre facili, con il Pci che,
alla fine, accolse comunque tra le proprie file circa due terzi del ceto dirigente. L’inizio
della fine della storia del Psiup va quindi collocato nel periodo della ripresa delle lotte
operaie e studentesche dell’«autunno caldo», quando apparvero con evidenza le diverse
strategie presenti all’interno del gruppo dirigente, tra «via italiana al socialismo» e ricerca
dell’«autonomia operaia». Mentre i segnali di una crescente scollatura tra partiti e società
si facevano sempre più evidenti, a buona parte dei militanti del partito la situazione sembrava
prerivoluzionaria, anche per la vivace presenza all’interno del movimento studentesco.
La disillusione fu rapida e cocente: con la crisi dell’unificazione socialdemocratica
e la capacità di «riassorbimento nella lotta» mostrata dal Pci, molti degli obiettivi che il
Psiup si era posto al momento della sua nascita dovevano essere giudicati superati dagli
elettori. Soprattutto, veniva meno la possibilità di trovare un proprio «spazio politico» tra
Pci e Psi: alle elezioni politiche del maggio 1972 il Psiup ottenne alla Camera solo l’1,9
per cento e nessun seggio non avendo raggiunto il quorum necessario per partecipare alla
ripartizione dei resti (stessa sorte per le liste del Movimento politico dei lavoratori e del
Manifesto). Due mesi dopo, l’ultimo congresso ne decreterà a maggioranza lo scioglimento
e la confluenza nel Pci, annunciando così «la fine del “lungo Sessantotto” italiano» (p.
285): ma, come sappiamo, la sua durata è oggetto di discussione.

Giovanni Scirocco