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Il prefetto e i briganti. La Calabria e l’unificazione italiana (1861-1865)

Giuseppe Ferraro
Milano, Le Monnier, 230 pp., € 17,00

Anno di pubblicazione: 2016

La guerra al brigantaggio rappresenta un terreno di discussione storiografica e culturale.
Negli ultimi anni, l’attenzione rivolta da un pubblico più ampio degli addetti ai
lavori si è intrecciata con ricerche sul conflitto civile, sul profilo della violenza, sul coinvolgimento
della popolazione. Si tratta di una novità storiografica che mostra la possibilità
di arricchire una consistente tradizione di studi misuratasi sul rapporto tra Mezzogiorno e
unificazione. Il brigantaggio fu l’ultimo conflitto combattuto tra napoletani e italiani nelle
vecchie province duosiciliane e, allo stesso tempo, la tappa finale di una frattura interna
durata più di mezzo secolo, intrecciata con invasioni straniere e guerre internazionali. In
questa direzione il libro di Ferraro analizza la relazione tra le istituzioni del nuovo Stato e
l’atavico conflitto rurale meridionale, indagando l’azione di Enrico Guicciardi, a lungo al
vertice della prefettura di Cosenza (1861-1865). L’a. ricostruisce la politica del funzionario
per oltre quattro anni, attraverso i materiali degli archivi pubblici e, soprattutto, quelli
conservati presso la sua abitazione di famiglia in Valtellina.
La ricostruzione offre uno spaccato della lotta politica della società cosentina e meridionale
negli anni critici dell’unificazione. L’azione del prefetto è analizzata come snodo
delle relazioni tra il centro del nuovo Stato e la periferia, e nella sua interazione con le
istituzioni politiche e militari che agivano sul territorio. Attraverso questa doppia prospettiva
l’a. individua nell’azione di Guicciardi un modello dell’esperimento di italianizzare
i rami periferici del paese con il trasferimento di funzionari di varie parti d’Italia nelle ex
province duosiciliane (e viceversa). Interpreta la politica del prefetto come un tentativo di
modernizzare le istituzioni pubbliche e i rapporti sociali nelle campagne, insistendo sulle
conseguenti resistenze di settori del notabilato e del vecchio regime. Il lavoro si concentra
particolarmente sull’azione di contrasto e repressione del brigantaggio. Un fenomeno che
nel cosentino non aveva le dimensioni politico-militari di altre aree del Mezzogiorno e
aveva una natura criminale più accentuata, così come più complicate relazioni (e interessi)
con ambienti e gruppi sociali locali.
Il prefetto condusse una politica aggressiva e spregiudicata, che ottenne un vasto
consenso, trasversale alle forze di governo e di opposizione, come ai ceti colti che vedevano
nella guerriglia rurale-criminale la peggiore espressione della società borbonica.
Fu protagonista anche di episodi rischiosi esponendosi in prima persona, in forme considerate
discutibili dai suoi critici. La sua azione terminò dopo un intenso scontro, di
competenze e personale, con il generale Pallavicini, che assunse la guida della repressione
in Calabria nel 1865.
Il libro contribuisce a una crescente serie di studi che consentono una maggiore
conoscenza dei caratteri politici, ideologici e istituzionali, della scala operativa con cui
il movimento unitario vinse la battaglia per l’affermazione e la legittimazione del nuovo
Stato nelle province meridionali.

Carmine Pinto