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Il professor Gramsci e Wittgenstein. Il linguaggio e il potere

Franco Lo Piparo
Roma, Donzelli, 186 pp., € 18,00

Anno di pubblicazione: 2014

Nel 1993 Amartya Sen pubblicò sul «Journal of Economic History» un importante e originale articolo intitolato Sraffa, Wittgenstein, and Gramsci, in cui ipotizzava l’esistenza di una «connessione», mediata da Piero Sraffa, tra le riflessioni linguistico-filosofiche di Antonio Gramsci e la svolta «antropologica» che portò Ludwig Wittgenstein a rimettere in discussione l’impianto concettuale del Tractatus logico-philosophicus e sviluppare un nuovo approccio alla filosofia del linguaggio. Con il piglio dello storico, Franco Lo Piparo, professore di Filosofia e teoria dei linguaggi all’Università di Palermo, argomenta e sviluppa la tesi di Sen, sostenendo che l’incessante critica esercitata dall’economista italiano sul pensiero di Wittgenstein nel corso degli anni ’30 si sia nutrita non solo dei colloqui torinesi avuti con Gramsci nella redazione de «L’Ordine Nuovo», ma anche delle riflessioni contenute nei Quaderni del carcere, di cui Sraffa era entrato a conoscenza quasi contemporaneamente alla loro composizione. Non disponendo di fonti documentarie che avvalorino la sua congettura, Lo Piparo procede attraverso una «lettura filologico-poliziesca» (p. 80) delle opere dei due autori che cita, giustappone e confronta sulla base di una rigorosa cronologia testuale.
Il difetto principale del libro risiede nella sua struttura poco consequenziale, suddivisa in due parti e sei capitoli. Il primo capitolo (Sraffa traghettatore) ricostruisce l’intreccio biografico e intellettuale che legò Gramsci a Sraffa, Sraffa a Wittgenstein e, indirettamente, Gramsci a Wittgenstein. Nel secondo e nel terzo (La filosofia della praxis e il gioco linguistico e Potere, persuasione e fiducia nei giochi linguistici) Lo Piparo articola la sua argomentazione prima sottolineando le corrispondenze tra le riflessioni sulla grammatica contenute nei Quaderni e il concetto di «gioco linguistico» (Sprachspiel) esposto nelle Ricerche filosofiche, poi analizzando l’affinità tra la nozione gramsciana di «praxis» e quella wittgensteiniana di «forma di vita» (Lebensform), e infine tracciando un parallelo fra la teoria del moderno Principe e il complesso di «credenze» sul quale, secondo il filosofo austriaco, si reggerebbero le «forme di vita». Il quarto capitolo (con cui si apre la seconda parte: Due biografie speculari) tratteggia i profili di Gramsci e Wittgenstein in una chiave forzatamente teleologica e avrebbe potuto essere collocato più opportunamente all’inizio del libro. Nel quinto e nel sesto (Il professor Gramsci e Il carcere di Turi nel girone dantesco degli eretici) Wittgenstein esce di scena e l’a. si dilunga su dettagli della biografia e del pensiero gramsciani noti da tempo.
Giova forse alle vendite, ma non alla trattazione quel tono sensazionalistico a cui l’a. e l’editore ci hanno ormai abituati (I due carceri di Gramsci, 2012; L’enigma del quaderno, 2013).

Tommaso Munari