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Il Veneto e l’economia di guerra fascista, 1935-1946»

Lorenzo Tognato
Venezia, Marsilio, 234 pp., € 25,00

Anno di pubblicazione: 2014

Il volume presenta una serie di documenti inediti relativi all’economia veneta nel
periodo delle guerre del fascismo, prodotti dalla United Nations Relief and Rehabilitation
Administration, dalle sedi periferiche della Banca d’Italia, dalle prefetture e dai Consigli
provinciali dell’economia. All’indice dei nomi sarebbe stato forse opportuno aggiungere
anche un indice delle imprese e dei luoghi citati, così da rendere più agevole la consultazione
di fonti che forniscono informazioni preziose per la ricostruzione della trasformazione
delle economie locali in un periodo cruciale.
L’introduzione dell’a. individua chiaramente le insufficienze della politica economica
fascista e le collega alla «impossibilità, in un regime fondato sullo stretto rispetto per la
gerarchia, di un proficuo scambio di informazioni e idee tra gli organismi di controllo di
base […] e la cerchia ristretta […] degli uomini con responsabilità di governo» (p. 16). In
quel contesto, «il vero peso della politica di guerra fascista è rappresentato dall’esasperazione
della scelta strategica di trasformazione autarchica dell’economia regionale» (p. 23),
che entrò in conflitto con le esigenze di sviluppo dei settori che necessitavano di materie
prime d’importazione, come il tessile e la maggior parte delle produzioni manifatturiere
venete. Solo le produzioni classificate come strategiche ai fini dello sforzo militare ottennero
le risorse valutarie necessarie per l’approvvigionamento di materie prime, ma ben
poche tra le imprese venete vi ebbero accesso, a causa di una struttura industriale sottodimensionata
e perciò subalterna.
Con l’entrata nel conflitto mondiale, l’economia locale fu ulteriormente penalizzata
dal reclutamento di manodopera e dalle requisizioni. Dal settembre 1943 anche gli scambi
interni alla regione furono interrotti con l’annessione della provincia di Belluno all’Alpenvorland
e l’inclusione della fascia costiera nella zona militare dell’Adriatische Kustenland.
Le difficoltà continuarono anche dopo la Liberazione, soprattutto per i problemi di
coordinamento tra i Comitati di liberazione nazionale e il governo militare alleato.
Se il Veneto costituisce quindi «la cartina di tornasole per il fallimento del tentativo
fascista di controllare l’economia italiana» (p. 59), secondo l’a. il fascismo a sua volta
mise in evidenza le incongruenze dello sviluppo regionale, afflitto da un cronico sottodimensionamento
delle imprese che le condannava alla perifericità. L’evidente richiamo
all’attualità di questa tesi contribuisce a renderla convincente, ma meriterebbe forse una
verifica a tappeto, che qui non sempre trova. Il contesto nel quale vengono collocati i dati
forniti dalla documentazione e gli esempi citati sono infatti troppo spesso limitati alle
informazioni ricavabili da precedenti ricerche dell’a. Risulta in particolare difficilmente
giustificabile l’insistenza sulla provincia di Belluno, già oggetto della sua tesi di laurea,
caso innegabilmente interessante ma decisamente eccentrico rispetto alla vicenda regionale
del periodo.

 Giovanni Favero