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Ilaria Porciani (a cura di) – Università e scienza nazionale – 2001

Ilaria Porciani (a cura di)
Napoli, Jovene, pp. 216, euro 18,08

Anno di pubblicazione: 2001

Si sa come una parte non piccola di quella storia universitaria italiana, che nell’ultimo decennio ha ricevuto crescente attenzione ed è stata narrata in vario modo, si debba all’iniziativa e alla produzione del tandem Porciani-Moretti. Anche qui i due storici sono presenti entrambi: l’uno in veste di autore, l’altra curando la raccolta di questi cinque saggi che costituiscono il terzo volume di una ?Biblioteca di Unistoria?. Nell’Introduzione è lei a spiegare il nesso operativo (ed insieme fortemente simbolico) che dopo l’Unità venne stringendosi fra un particolare modello di studi superiori, la ?scienza? e il nation building. A leggere le testimonianze d’epoca, ci s’imbatte continuamente nella tesi secondo cui al decadere della scienza italiana avrebbe concorso la ?secolare soggezione allo straniero?: argomento peraltro ereditato senza scrupolo di verifica da una posteriore (e piuttosto longeva) storiografia nazionalistica. Retoricamente, la tesi servì anche a motivare l’impegno del nuovo Stato nell’edificazione del sistema universitario, dove la scienza doveva farsi ? secondo alcuni costruttori del mito ? ?sacerdozio civile? o ?pietra angolare?. Due altri importanti risvolti segnala la curatrice: per un verso il valore antagonisticamente laico che dopo la presa di Roma venne assumendo il rapporto istituito fra la scienza e la capitale; per altro verso l’irresistibile polarità esercitata dalla guerra sulla scienza, sotto l’egida di una Minerva bifronte, nel cinquantennio postunitario.
Quanto al polisemico termine ?scienza?, nel suo contributo Claudio Cesa esamina l’uso che ne fecero, in un’accezione molto lata, gli intellettuali meridionali più o meno fedelmente hegeliani, da De Sanctis agli Spaventa per giungere fino ad Antonio Labriola. Segue l’ampio saggio di Giulio Cianferotti sui caratteri della scienza giuridica italiana lungo un arco di tempo che copre gran parte del XIX secolo e sconfina nei primi decenni del XX: dove s’intende dimostrare come il ?paradigma pandettistico? abbia permesso alla dottrina insegnata nelle università d’attuare una sorta d’egemonia sulle altre fonti del diritto. Dal canto suo Antonio Cardini mette a fuoco l’affermarsi dell’economia come scienza universitaria fra il 1870 e il 1914, individuando una tensione/differenza fra coloro che definirono lo specialismo e i responsabili della politica economica. E un’altra tensione/differenza, a ben vedere, segnala Roberto Maiocchi, quando a proposito di elettrotecnica scrive di ?un ramo industriale quasi-gigante che si appoggiava sulle spalle di una ricerca scientifica quasi-nana?, costretto pertanto ad imitare sovente e ad importare dall’estero. Chiude il volume un lavoro di Mauro Moretti ? ricco di dati ed accurato come suo solito ? sui Cadetti della scienza, suggestiva denominazione per quella fauna di figure subalterne (liberi docenti, dottori aggregati, straordinari, incaricati) che hanno fatto funzionare l’università italiana, inguaribilmente gerarchica, da Casati a Gentile. Qualcuno dovrebbe riprendere il medesimo filo e dipanarlo da Gentile sino a Zecchino.

Claudio Pogliano