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Interventiste nella Grande Guerra: assistenza, propaganda, lotta per i diritti a Milano e in Italia (1911-1919)

Emma Schiavon
Milano, Le Monnier, 362 pp., € 26,00

Anno di pubblicazione: 2014

La ricerca di Schiavon, iniziata con la tesi di dottorato e proseguita nel tempo, si inserisce
nel filone di studi sulla storia delle donne nella prima guerra mondiale. Dell’esperienza
che coinvolse un vasto settore femminile impegnato in attività lavorative, di propaganda
e di assistenza, l’a. prende in considerazione le associazioni che chiesero l’intervento
dell’Italia e quelle che successivamente parteciparono alle iniziative del fronte interno. Il
volume si divide in due parti. Nella prima si seguono le scelte nella fase di neutralità di
sodalizi milanesi tra cui il Comitato pro suffragio e l’Unione femminile, la Croce Rossa e
la Pro esercito, alcune riviste e circoli letterari. Nella seconda parte, più ampia e compatta,
si guarda alle forme di propaganda, all’organizzazione della mobilitazione civile, ai suoi
principali istituti, ai rapporti tra questi e le iniziative femminili mettendo in luce gli effetti
prodotti da una guerra di massa, interminabile e segnata dai drammatici effetti della crisi
di Caporetto.
La tesi di fondo è che l’interventismo suffragista «non può essere considerato un
semplice appoggio formale al governo, dettato dalle circostanze, e va invece visto come un
intervento attivo nel quadro politico nazionale» (p. 22). Scelta che al pari delle suffragiste
inglesi si giustificò con la richiesta di cittadinanza, ma per il caso italiano questa strategia
si rivelò fallimentare, mentre le azioni condotte in quegli anni allontanarono le femministe
dai due grandi partiti di massa che avevano «il maggiore interesse politico a sostenere
il voto alle donne» (p. 285).
A parte qualche errore (per esempio, le crocerossine non entrarono in «servizio effettivo
» nel 1892 bensì nel 1908), non del tutto condivisibili sono alcuni giudizi tra cui
quello sul «pacifismo» del Consiglio nazionale delle donne italiane, che invece non riuscì
a istituire una sezione pace e arbitrato come chiese fin dal 1903 l’International Council of
Women a cui era federato, o quello sul «forte» impegno per il voto di Rosalia Gwis Adami
che a ben vedere fu debole e contraddittorio.
Resta un dubbio sull’uso del termine «interventista». Fare propaganda per chiedere
l’ingresso nel conflitto e, dopo il 24 maggio, aiutare le famiglie dei soldati o offrire un
lavoro alle madri in difficoltà non sono la stessa cosa. La scelta di guardare contemporaneamente
alle avanguardie interventiste, alle associazioni del femminismo, alle organizzazioni
miste vicine al governo e a Casa Savoia, oltre a quelle patriottiche nate per sostenere lo
sforzo bellico rischia di creare confusione non solo per la diversa natura e caratterizzazione
dei sodalizi, degli enti e delle istituzioni esaminati, ma anche per la posizione che assunsero
sulla partecipazione allo scontro militare, su cosa fare e come una volta dichiarata la
guerra. Una selezione dei tanti argomenti toccati e una maggiore attenzione agli snodi che
emersero in un quadro segnato da notevoli differenze e in continua evoluzione avrebbero
aiutato a rendere la ricerca, corredata di informazioni e scavo archivistico, più precisa e
puntuale.

Stefania Bartoloni