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Ivano Granata – Crisi della democrazia. La Camera del lavoro di Milano dal biennio rosso al regime fascista – 2006

Ivano Granata
Milano, FrancoAngeli, 306 pp., euro 24,00

Anno di pubblicazione: 2006

Riproporre, vent’anni dopo la sua uscita, una storia della Camera del lavoro di Milano nel primo dopoguerra può apparire temerario, ma non lo è. Lo dimostra Ivano Granata ristampando, ampiamente riveduto, un lavoro del 1986 che aggiorna e ridefinisce con fine equilibrio la vicenda di un organismo di classe di cui Gnocchi Viani rivendicò lo «spirito di indipendenza e di dignità operaia» rispetto a quelle inglesi e francesi e che Stefano Merli ritenne un «modello autoctono» di organizzazione camerale. Nella storia del movimento operaio Milano non è realtà marginale e centrali sono gli eventi della sua Camera del lavoro, che Granata coglie al guado cruciale e doloroso ? crisi della democrazia è la calzante definizione ? che, dallo «splendore» del biennio rosso, conduce al travaglio del 1922, al disastro del 1923-24 e allo scioglimento del 1925; un epilogo cui si giunge, qui l’autore colpisce davvero nel segno, senza che il fascismo possa poi chiudere i conti con una classe lavoratrice per la quale decenni di vita sindacale non sono trascorsi invano. Un percorso disegnato abilmente, di cui Granata indaga le tappe decisive: l’espansione del 1919, il dilemma irrisolto della reale natura dei «Consigli di fabbrica» ? organismi politici o sindacali? ? le utopie rivoluzionarie, le incongruenze massimaliste, la fragilità politica e la forza sindacale dei riformisti, il nodo intricato del rapporto tra le organizzazioni politiche e quelle economiche dei lavoratori. La «lettura» ha «misura» e chiarezza e il filo rosso è quello, fortemente attuale, dei conflitti ideologici tra riformisti e massimalisti, comunisti e socialisti, di fronte al fascismo che trova la sua forza anzitutto nelle divisioni del fronte operaio e porta l’attacco là dove il terreno è reso agevole da avversari incapaci di costruire una linea comune. La visione d’assieme del quadro sindacale e politico, il complesso di attività ? lotte e dibattito ? che segna la vita della Camera, le peculiarità della classe operaia e i suoi orientamenti ? più interesse meritavano forse i libertari ? e l’ampia documentazione, fanno del saggio un riuscito «ritorno» a temi purtroppo desueti e non c’è dubbio: la ricostruzione convince, soprattutto quando registra un forte legame tra avanzata della reazione fascista ? e più in generale, direi, tra l’affermazione dell’autoritarismo nelle società industrialmente avanzate ? e il grado di coesione delle organizzazioni dei lavoratori. Le difficoltà di affermazione del corporativismo fascista dimostrano che, nelle pieghe della repressione, sopravvive una coscienza sindacale che, riaffiorata durante la guerra e nel secondo dopoguerra non è solo figlia del riformismo, come sembra ritenere Granata, ma della vicenda complessiva del movimento operaio. Per capirlo basta seguire le tracce di tanti dei lavoratori incontrati nel saggio che, al di là dell’orientamento politico, finiscono al confino o prendono la via dell’esilio. Una nota marginale, che nulla toglie a un lavoro esemplare. Ed è vero, ha ragione Granata: «Sconfitta sul piano concreto, la Camera del lavoro lasciava, nonostante tutto, ai lavoratori un’eredità destinata a durare» (p. 286). Eredità che nel saggio rivive.

Giuseppe Aragno