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John Cohen e Giovanni Federico – Lo sviluppo economico italiano 1820-1960 – 2001

John Cohen e Giovanni Federico
Bologna, il Mulino, pp. 164, euro 10,33

Anno di pubblicazione: 2001

In questo volume, pubblicato contemporaneamente in inglese da Cambridge University Press, Cohen e Federico tracciano un bilancio ragionato della più recente fase della storia economica italiana, caratterizzata dal crescente utilizzo dell’analisi economica nella ricerca storica e dalla realizzazione di test quantitativi rigorosi. Il pregio principale del libro consiste nel presentare per la prima volta una visione complessiva dei risultati scientifici di una ?rivoluzione cliometrica? che, ispirata ai temi e alla metodologia della storiografia anglosassone, ha prodotto nella cultura italiana un mutamento analogo a quello in corso in altre storiografie europee, come la francese e la tedesca (si vedano al proposito gli articoli di George Grantham e di Richard Tilly nella European Review of Economic History, rispettivamente in 1 (1997) pp. 353-405 e 5 (2001) pp. 151-87).
Emerge con chiarezza dal volume fino a che punto il rinnovamento metodologico sia sfociato in una una profonda revisione interpretativa. La proliferazione di nuove ricerche ha posto sotto una luce diversa quella che, fino a poco tempo fa, eravamo abituati a considerare la storia di una modernizzazione incompiuta e squilibrata, con una crescita economica incerta fino al 1950 (con l’eccezione della parentesi giolittiana), una agricoltura dominata dal tenace conservatorismo di tutti i ceti agrari, e un’industrializzazione distorta da dualismi geografici e settoriali, e fondamentalmente opera di agenti ?gerschenkroniani? come le grandi banche miste e lo Stato.
Dal libro emerge una storia parzialmente differente. Recenti revisioni delle statistiche del Pil e della produzione industriale suggeriscono che la crescita dell’economia nella seconda metà del secolo XIX fu probabilmente più sostenuta di quanto ipotizzato tradizionalmente. Analogamente, già nell’800 l’agricoltura si presentava meno immobilista di quanto abitualmente ritenuto, grazie ad un livello elevato di specializzazione e commercializzazione e alla produttività per nulla disprezzabile garantita da metodi di conduzione tradizionali (come la mezzadria). Per parte sua, nel corso del suo primo secolo di sviluppo, il sistema industriale mantenne un carattere fondamentalmente improntato alla concorrenza, anche se non mancarono aree e epoche di maggior concentrazione, mentre le ?social capabilities? caratteristiche della tradizione proto-industriale continuarono a rigenerarsi in un ampio tessuto di piccole e medie imprese organizzate in distretti ?marshalliani?, flessibili, dinamici e resistenti alle oscillazioni del ciclo. Al contrario, esce confermata la incapacità di lungo periodo dell’economia meridionale di convergere con il resto del paese, nonostante l’esistenza di aree di sviluppo agricolo e di specializzazione internazionale, e il massiccio impiego di risorse consentito nel dopoguerra dall’intervento straordinario. La irrisolta questione meridionale si conferma, in definitiva, la principale zona d’ombra di quella che gli autori non esitano a definire, sia pure tra sfumature e riserve, una ?storia di successo?.

Stefano Battilossi